IL Digitale


Un passo avanti per l’Alzheimer

Rudolph Tanzi nel 1986 pubblica il primo gene che causa l’Alzheimer, la settima causa di morte a livello mondiale, malattia debilitante che solo in America colpisce 65 milioni di persone. Rudolph non ha mai mollato la presa, e dal Massachusetts General Hospital di Boston ora sembra...

... arrivato a risolvere il mistero che da tanti anni arrovella ricercatori, pazienti e loro cari. Come funziona questa tossina, la beta amiloide, che si inserisce nelle sinapsi e blocca le connessioni tra i nostri 80 miliardi di neuroni? Qui una bella foto.

Pensate ad una calamita su un circuito elettronico: i dati non viaggiano più, o vanno nel posto sbagliato. I geni sono ricette, come i programmi software, che dicono come produrre le proteine e come queste devono interagire con enzimi ed altre parti del nostro corpo. Entrando con microscopi sempre più precisi come quello usato sopra, e modellando i meandri del nostro cervello con l’equivalente artificiale, gli scienziati possono capire i veri meccanismi di funzionamento di questi fenomeni.

Oggi sappiamo che quando la beta amiloide, per gli amici Abeta (da pronunciarsi con accento romanesco “a’ beta”), si deposita sui terminali dei nostri neuroni, questi cominciano a perdere capacità di elaborazione e trasmissione dati con i vicini. I dati non passano più attraverso le sinapsi, causando insorgere e poi peggioramento dell’Alzheimer. Ma come fa questa proteina ad agganciarsi ai neuroni?

Tanzi ha costruito un modello digitale, ed usato una quantità di topini da laboratorio, riuscendo a scoprire un sacchettino di grasso del neurone che si aggancia ad Abeta, e capire che da lì inizia il processo di deposito. A questo punto il team di ricerca ha velocemente capito come interrompere il fenomeno, vuoi con una terapia genetica che blocca la proteina che aggancia il neurone ad Abeta, vuoi con un farmaco che sgancia la tossina dal neurone. Per chi volesse veramente approfondire, l’articolo di Tanzi e del suo team è qui, ostico nella lettura, ma veramente una buona notizia.

Ai tanti ragazzi che chiedono lumi sul cosa studiare all’università, ed ai genitori più impanicati della prole per il rischio di intraprendere un percorso di studi troppo lungo o che non soddisfi, questo è un ulteriore bell’esempio di come molte discipline convergono per risolvere un problema. Dietro a questa ricerca ci sono, in ordine alfabetico, biologi, ingegneri, medici, statistici ed altri ancora, a lavorare in squadra per capire e quindi curare l’Alzheimer.


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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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