IL Cibo


Il titolare recensisce il ristorante Italia di Castel Vittorio

Per dieci anni ho fatto il percorso fra sala e cucina delle grandi Maison Hôtellerie del Principato di Monaco. Ristoratore di quarta generazione dovevo decidere il mio futuro: la mia vita non poteva continuare all’infinito in quel percorso obbligato di una decina di metri, che imponeva un sorriso stampato sul viso ogni volta che uscivo dalla cucina con i piatti.

I raffinati clienti dell’alta hôtellerie li avevo conosciuti, l’alta cucina tutta basata su roux e impiattamenti artistici pure, quel mondo esclusivo non sarebbe mai diventato il mio. Decisi che poteva bastare. Era ora di tornare a Castel Vittorio, un piccolo borgo del Novecento dopo Cristo, a un tiro di schioppo dal confine con la Francia.

Dovevo tornare ai miei boschi, agli animali che li popolano, ai funghi nascosti ma che spesso io trovavo, soprattutto ai miei olivi di cui, fin da piccolo, ero stato innamorato. Chi non conosce l’oliva taggiasca, piccola e nervosa, non può immaginare cosa sia il suo olio, se poi gli olivi sono a 500 metri di altitudine, come i miei, di più. Scelsi il locale, il nome Italia era già incorporato, non potevo chiedere di più. Venni a sapere che un ristoratore della provincia, un tempo importante, era ormai vicino alla chiusura, vendeva gli arredi. Mi innamorai delle sue poltrone di pelle che molti, molti anni fa dovevano essere state kitsch, ma l’usura del tempo le aveva rese bellissime, almeno per me. Mi face un prezzo basso in quanto, secondo lui erano “rovinate”. Tacqui: per me erano state “esaltate”.

La prima volta che venne a trovarmi l’editore di Zafferano, mi disse che aveva avuto un’imbeccata, volle mangiare il mio pane di lievito madre inzuppato nel mio olio, la torta verde detta “turtun” (disse “è quanto di più alto la cucina povera ligure abbia saputo produrre”) e i ravioli di borragine di magro con il mio olio. “Senza parole” il suo giudizio. Dalle finestre del mio ristorante si domina la valle, e la mitica Pigna, dai fagioli rotondi e perlacei. Pigna ci mette i fagioli, io la capra: ne esce un piatto strepitoso. Vi dico una cosa sola: nel rapporto qualità prezzo non temo nessuno.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Samuele Allavena (Castel Vittorio): ristoratore
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale
Marinella Doriguzzi Bozzo (Torino): da manager di multinazionali allo scrivere per igiene mentale
Pietro Gentile (Torino): bancario, papà, giornalista, informatico
Eugenia e Massimo Massarini (Torino): studentessa di medicina e medico
Alessio Romano (Torino): millenial
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro