La prima sentenza, su ricorso di studenti di origine cinese, ha stabilito che la razza non può essere un fattore discriminante per l’accesso alle università: se sei bravo entri, senza favoritismi sul colore della pelle. La seconda ha ribaltato la legge con cui Biden voleva risanare il debito di milioni di studenti, perché discriminatoria rispetto a chi i debiti se li è già pagati. La terza, la più curiosa, consente a chi ha un negozio o studio professionale di rifiutare il proprio servizio a chi promuova il matrimonio omosessuale.
Il terzo caso prende le mosse da un’azienda di web marketing, che rifiutandosi di fare un sito celebrativo di un matrimonio gay, s’era attirata la denuncia per discriminazione. La Corte Suprema sostanzialmente conferma il giudizio già formulato cinque anni fa quando un pasticciere s’era rifiutato di fare una torta matrimoniale per lo stesso motivo: in entrambe i casi la difesa si giustifica con il rispetto della propria fede religiosa. È uno scontro di diritti: da un lato quello dello Stato che vuole proteggere le comunità discriminate, come quella LGBTQI+, dall’altro quello dell’individuo che vuole essere libero di professare la propria religione, dire quello che vuole e non esser costretto a dire cose che non vuole.
In America il diritto alla libertà d’espressione è fondamentale, personalmente lo considero secondo solo a quello di avere un tetto sulla zucca ed un piatto in tavola, e prima di tutti gli altri. Un sito internet è espressione, quindi se mi chiedi di farne uno celebrativo di qualcosa che io non condivido, o addirittura denuncio, stai costringendomi a rinnegare la mia libertà d’espressione. Il primo emendamento della nostra costituzione protegge il diritto dell’individuo a dire quello che vuole, anche quando questo sia falso, offensivo o stressante per chi ascolta, ed allo stesso tempo impedisce al governo di obbligarlo a dire qualcosa che non voglia.
Giustamente, non possiamo immaginare di costringere un regista ateo a fare un film fondamentalista religioso, e gli esempi di sprecano. Il Giudice Sotomayor, che ha votato contro questa sentenza, ha insistito sull’obbligo del commerciante di erogare il proprio servizio a chiunque, e che è illegale rifiutarsi di farlo se la motivazione è discriminatoria. Anche questo è corretto, ma ovviamente non è immaginabile consegnare un sito internet che condanna i matrimoni gay, proprio alla coppia che l’ha commissionato per veicolare il messaggio opposto: un vicolo cieco.
Biden ha chiesto alla Vicepresidente Harris di parare il colpo, ed il comunicato è molto interessante (qui). Sicuramente tutti hanno il diritto di non essere discriminati, ed essere serviti al ristorante, come in albergo o qualsiasi altra azienda aperta al pubblico, al pari di tutti. Ma Harris si arrampica sugli specchi quando dice che la Corte Suprema ha cambiato le carte in tavola, semplicemente il diritto alla libertà d’espressione è irrinunciabile: dura lex, sed lex.
Nulla di strano per chi legge di queste discussioni dall’Italia, dove la libertà di coscienza consente al 64.6% dei ginecologi di rifiutarsi di fare interruzioni di gravidanza. Qui in America per fortuna la maggior parte degli studi web non si fa così tanti problemi di coscienza.