Miscellanea


Camei agostani

Questo agosto Zafferano.news è andato in vacanza per ben tre settimane. Riccardo Ruggeri è invece rimasto...

... com'era prevedibile, al lavoro. Ecco per i nostri lettori i Camei che egli ha scritto per il suo blog.

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07.08.2021 - IL GREEN PASS , TOTEM O MEDIATORE?

Le due “minoranze” che oggi dettano legge sul palcoscenico della politica italiana, sono i veri padroni di social, piazze, talk, giornali, una costituita da pezzi del centrosinistra, i 5S, l’intera Sinistra-Sinistra, i radical chic nostrani della Cancel Culture, i soliti intellò, l’altra da pezzi del centrodestra, della Destra-Destra, e dei suoi intellò di complemento, si scambiano cazzotti sul green pass. Confesso che non li capisco.

E’ evidente che il green pass è un pezzo di carta “politico”, giuridicamente molto debole, e il Premier lo sa benissimo (e ne sta alla larga) ma sa pure che psicologicamente è indispensabile, perché la vaccinazione a tappeto, con tutte le sue controindicazioni, sarà determinante per capire come mettere il Virus a cuccia. Dobbiamo imparare a ragionare, quando si parla di costui, in termini di “processo” e non come siamo abituati in termini di “prodotto”. E il green pass è un processo e pure pieno di fragilità e dalla pessima immagine, ma è l’unico strumento che abbiamo.

Mi permetto un suggerimento ai più esagitati di queste due minoranze: uscite dal blog della lotta ideologica a prescindere, ed entrate in quello, come dicono i colti, della execution by tolerance. Anziché rimanere sempre alla tastiera, mettetevi in pausa. Leggete due libri fondamentali per capire questo momento. E’ un momento di mediazione fra un passato imbarazzante e un futuro preoccupante.

Quando ciascuno di noi sceglie un desiderio subito lo desidera in concreto, perché ne subisce l’immediata fascinazione. Si instaura così una relazione di tipo triangolare, fra soggetto desiderante, mediatore del desiderio, oggetto desiderato. La mediazione del desiderio è “interna” quando il mediatore è del suo stesso mondo, “esterna” quando il mediatore indica una serie di oggetti da desiderare. Questo ci hanno insegnato i grandi Maestri della letteratura.

Nel 1870 Fëdor Dostoevskji scrisse L’eterno marito, ove il marito fa di tutto affinché l’amante (un poveraccio, ridotto al rango di mediatore) si frapponga fra lui e la moglie.

Nel 1856 Gustave Flaubert scrisse Madame Bovary, ove la protagonista a forza di leggere romanzi sull’adulterio, desidera l’adulterio più degli stessi amanti. Peggio, desidera oggetti utili a trasmettere il suo sogno di evasione dalla vita provinciale nella quale è immersa. Così desidera Parigi senza mai esserci stata. Il romanzo come mediatore del desiderio? Ebbene sì.

Ed ecco quindi la funzione “mediatrice” del green pass, di cui parlano con approcci diversi le due “minoranze”. Dopo aver accettato per anni, e tuttora, il furto in destrezza dei dati basici della nostra vita, in cambio di servizi gratuiti del web di aziende politicamente criminogene, fanno sorridere queste posizioni ideologiche. Consentire alla classe dominante di mettere al centro della vita umana il “consumatore”, al posto della persona, del lavoratore, senza opporsi è stato socialmente orrendo, specie da parte della Sinistra, con il silenzio complice della Destra. E che dire di quelli che accettano supinamente di essere “amazonizzati” dalla culla alla bara? E quando il “riconoscimento facciale” e i suoi sviluppi, arriverà che faranno? Eppure tutto questo è stato, è, sarà culturalmente accettato dai presenti esaltatori della libertà. Che tristezza.

Ripeto, mettiamoci tutti in pausa (è pure ferragosto) rilassiamoci e prepariamoci per una bella ottobrata romana che ci faccia recuperare, almeno in parte, un’estate che, come al solito, ci siamo giocati per eccesso di chiacchiere. Prosit!

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11.08.2021 - LO “STRADARIO” DI DANIELA RANIERI E’ LETTERATURA

Sto accarezzando la copertina del libro “Stradario aggiornato di tutti i miei baci” (Ponte alle Grazie, 684 pagine, 19,80 €) di Daniela Ranieri. Con Daniela mai ci siamo visti o parlati, da alcuni anni ci scriviamo rari messaggini su Twitter. In uno mi anticipò che stava lavorando a questo libro, avrebbe parlato anche di profumi. (Avevo scoperto, via internet, che entrambi amiamo l’essenza di caprifoglio. Uno dei miei personaggi, Il Signor CEO è il solo regalo che faceva all’unico amore della sua vita, Maria).

Lo “Stradario” è entrato nella mia vita con una certa sfrontatezza, il suo giunonico erotismo cartaceo mi ha preso all’amo. La seconda di copertina sintetizza il romanzo, la quarta è eccessiva, troppe parole, ci avrei messo solo la frase “Ricominciava la giostra sfiancante dell’innamoramento …”. Spiazzante la dedica, meraviglioso il lampo sul Papà. Raffinato l’incipit: “Sono nata in mezzo al Tevere, sulla barca-vongola di pietra tra le due anse che abbracciano l’Isola Tiberina: la testa rivolta a ovest, verso il tramonto quasi invernale di Fiumicino; i piedi puntati verso l’Adriatico, sulla direttiva dell’autostrada Roma-L’Aquila.

Che fare del libro? Tre opzioni.

Ho subito escluso la terza opzione (quella maggioritaria dei lettori): tenerlo sul comodino, leggiucchiarne per qualche sera alcune pagine, aspettare che il primo velo di cipria si trasformi in polvere, metterlo in uno scaffale, i miei ormai sembrano un container per merci sfuse. No, questo è un oggetto serio, merita di vivermi accanto, impilato in terra, sotto il tavolino del salotto borghese.

Ho escluso anche la seconda opzione: leggerlo in una settimana, visto che sono 684 pagine. Avrei seguito il ritmo che il pellegrino si impone lungo il Cammino di Santiago de Compostela. Lo meriterebbe, ma la mia priorità, in questo momento, è finire il romanzo autobiografico sull’editoria che sto scrivendo.

Resta la prima opzione, avventurosa: leggerlo a settembre, con calma, come merita, e recensirlo ora. Lo farò, come d’uso nel mondo di certa editoria, senza leggerlo, spiluccandolo. C’è chi segue il metodo Herbert M. McLuhan (concentrarsi sulla sola pagina 69) chi quello di Ford Madox Ford (no, vale la pagina 99).

Prudente, farò un mix. Ho aggiunto alle pagine 69 e 99, a caso la 192 e la 624. Mi hanno catturato: ho letto i due capitoli d’un fiato. Mi sono innamorato di Stradario: lo leggerò tutto, centellinandolo come un rhum agricolo alimentato da infinitesime schegge di una cialda di Gobino 80%. Si capisce che è un libro tosto, emette sentenze su di noi e sul nostro stile di vita e l’autrice non teme di spogliarsi. Spogliarsi per fare sesso è banale, ben altro spogliarsi per tentare di fare letteratura.

Prendiamo questa: “Emanava erotismo”. Con due parole ha demolito l’amante scrittore, e scoperto che i suoi “quanti di erotia” erano finti. Quando dalla teoria doveva passare all’execution era incerto, goffo, finto appunto, ma lui non se ne rendeva neppure conto (amico, quando a letto sei imbranato, lascia perdere la competizione erotica, rifugiati nella dolcezza, paga sempre, soprattutto nel sesso). Comunque, con uno così non ci si va a letto, “al massimo a mangiare una pizza a San Lorenzo, parlando di cose facili”. “Cose facili”: una sentenza definitiva in due parole e un sorriso. Meraviglioso.

E poi quella sulle pulsioni sessuali di Frate Emanuele: “Scelgo ogni giorno di lasciarle sullo sfondo, sul fondo dei miei pensieri. Mi seguono, non mi occupano, non mi precedono. Sono qualcosa di intimo che non …”. Come lo capisco. Per chi ha dei valori non ha altra opzione che farsene una ragione, i valori vanno rispettati, sempre, ovvero abbandonati, però per sempre. Nei vent’anni della mia vita da CEO di aziende tecnicamente fallite, ogni mattina, al risveglio, compilavo mentalmente la gerarchia dei problemi che avrei incontrato (anche quelli personali) per non farmi né superare, né condizionare da loro. Ognuno doveva rimanere al suo posto: gli shareholder, gli stakeholder, la mia persona, erano solo ancelle del disegno. Personaggio di enorme potenza umana e letteraria Frate Emanuele.

Non vedo l’ora di finire il mio libro per leggere, lentamente, Stradario e farmi avvolgere dalla conturbante lingua italiana di Daniela Ranieri. La usa con sublime disinvoltura, a mò di pugnale o di carezza. Con questo libro, si sarà resa conto che la sua è letteratura?

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18.08.2021 - DAL VIRUS DI WUHAN AL VIRUS TALEBAN

Affrontare il problema Afganistan in termini di analisi è, almeno per me, opera velleitaria e inutile, per cui me ne guarderò bene. Trovo ridicolo sputare sentenze su un Paese che dai tempi di Alessandro Magno ha respinto qualsiasi invasore, seppur dotato di eserciti potenti e in possesso di armi via via più moderne e sofisticate.

Dopo il Virus di Wuhan, e il suo pendant il Vaccino, inizierà una nuova pandemia di chiacchiere? Parto da un presupposto: impossibile pretendere “cambiamenti” (nel significato più ampio del termine) sulla base di teorie non supportate da una determinazione feroce di execution. Gli afgani l’execution l’hanno nel sangue, noi europei l’abbiamo persa settant’anni fa. L’Europa ha rinunciato a essere una grande potenza, diventando un grande discount e una ONG moralizzante. Pretendiamo che gli americani facciano per conto nostro le guerre nei nostri territori di influenza e li critichiamo perché, dopo averle perse tutte, si ritirano pure da questa, lasciandoci in mutande.

La guerra la iniziò George Bush adottando la strategia neocon di “esportare la democrazia”. Barack Obama la continuò in nome del “Nation Building” , una colossale balla che lo stesso Joe Biden (che pure allora era il suo vice) ha smentito nel discorso dell’altro ieri, dicendo che erano lì per “difendere gli interessi americani” e che se ne andavano perché “non avevano più alcun interesse”. Impeccabile motivazione. Infatti dopo vent’anni di investimenti, la creazione di un esercito nazionale super equipaggiato di 300.000 soldati, quattro taleban in croce sono entrati in tutte le città, Kabul compresa, senza che la popolazione insorgesse. Un disastro per le leadership euro americane, con Biden paragonato al Maresciallo Badoglio (sic!).

Diciamocelo. Il politically correct, la Cancel Culture, la Woke Culture, questo stravagante modo di ragionare “radical chic”, stanno portando l’Occidente alla sconfitta in ogni campo. Non ci resta che inginocchiarci anche ai taleban. La prima dichiarazione dei taleban taglia ogni discussione: “Diritti garantiti alle donne purché rispettino la sharia”. Punto.

Eppure il libro “Il Grande Gioco” di Peter Hopkirk spiegava perché l’Afganistan respingerà sempre e comunque qualsiasi invasore. Noi lo consideriamo un Paese-Stato ma non lo è, e non intende esserlo: è un insieme di tribù in millenarie ostilità fra di loro, con a capo i cosiddetti “signori della guerra e della droga”. Gli stessi taleban di etnia pashtun (il 36%) non si illudono di dominare le altre etnie, come i tagiki (34%), gli hazara (15%), gli uzbeki (9%). Tutti si accontentano di vivere di pastorizia e, da anni, grazie ai vizi (oppiacei) di noi occidentali, si sono arricchiti con la coltivazione del papavero. Comuni tagliagole e padroni degli oppiacei ma fermissimi sui loro valori religiosi e socio culturali.

In realtà, noi europei non abbiamo più valori, né religiosi, né culturali, quindi nulla possiamo né insegnare, né esportare. Siamo diventati dei “consumatori”, in lookdown perenne, sempre sul divano di cittadinanza e armati fino ai denti di tastiere e di app, con un cervello sempre più mignon. Dei poveretti poveracci.

Un tempo c’era un detto: “Quando un Impero spende più di interessi sul debito pubblico che per gli armamenti, i suoi cittadini diventeranno servi”. E’ il caso dell’Occidente, America compresa. Quest’indice, negli Stati Uniti si invertì durante la Presidenza Obama. Non parliamo dell’Europa. Da allora, l’Occidente marcia compatto verso il Terzo Secolo dopo Cristo (declino e fine dell’Impero Romano).

Nel 2001 abbiamo ferocemente criticato i talebani (musulmani di stretta osservanza) sulla distruzione dei due Buddha di Bamyan. Nel 2020 abbiamo esaltato la nostra “meglio gioventù” che ha distrutto le statue dei nostri Padri della Patria, a partire da Cristoforo Colombo. “Cancel Culture” in purezza. Taleban radical chic?

Che piaccia o meno, a questo punto della storia il libro di riferimento per noi occidentali può essere solo Submission di Michel Houellebecq. Se avete tempo, leggetelo e poi decidete che fare. Però mi raccomando: zero chiacchiere, solo execution.

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23.08.2021 - LA “STRATEGIA” CUSCUTA DELL’EUROPA E’ AL CAPOLINEA

Lo sfacelo susseguente alla sconfitta di Kabul ha avuto almeno un aspetto positivo. L’élite europea, al potere da trent’anni grazie al CEO capitalism, dovrebbe aver aperto gli occhi e capito che il nostro modello non è esportabile, in primis nei paesi islamici, tutti dominati dalla sharia. Il tanto criticato/esaltato Gino Strada l’aveva perfettamente capito: sei accettato se ti limiti ad esportare, gratis, competenze medico-farmaceutiche, non certo la “democrazia”. Men che meno il tuo stile di vita. Nell’Afghanistan dei taleban per un occidentale l’unico passaporto ammesso per circolare ovunque è infatti il badge plastificato di Emergency.

Siamo stati vent’anni in Afghanistan in nome del nation building di Barack Obama (era una colossale balla, come ha ora spiegato il suo compagno di merende Joe Biden), gli americani hanno speso oltre 1.000 miliardi $, non so quanto la NATO e i singoli paesi europei, molti i morti consuntivati. Li abbiamo dotati di un esercito di 300.000 uomini, addestrati per anni, eppure appena si è trattato di combattere contro i taleban, si sono squagliati, usando la vendita delle (nostre) armi come salvacondotto. Il film “Tutti a casa” in salsa afgana!

La spiegazione è nota: ci siamo schierati non con il popolo afgano, ma con le classi privilegiate borghesi, profondamente corrotte, che campano vessando i poveri e questi, al momento della scelta, hanno preferito i taleban (pur essendo degli esaltati della sharia, dicono, “almeno sono onesti”) che hanno sempre contrastato gli invasori stranieri, inglesi e russi prima, e ora americani-europei. (parola di Asad Ahmed Durrani, ex capo dei Servizi Segreti pakistani, maggiore esperto del mondo afgano-talebano).

Gli afgani sono 38 milioni e, salvo qualche centinaia di migliaia occidentalizzati, non si riconoscono nel nostro modello. Per esempio, i tagiki del nord lotteranno contro i taleban per la libertà delle loro tribù (presto troveranno un compromesso, sono pur sempre musulmani) non certo per lo stile di vita occidentale, con tutti i suoi estremismi in termini di diritti umani. Personalmente mi sfugge che diritto umano sia quello di distruggere la statua di Cristoforo Colombo o i miti della musica classica o la Divina Commedia, mi sembra pura inutilità culturale salottiera.

Così ci siamo ridotti a negoziare con i taleban la fuga dei nostri soldati e dei loro attendenti afgani. Vediamo un pugno di soldati americani ultra tecnologici asserragliati in un aeroporto che predispongono nursery e fanno i check-in. Umanamente molto bello, ma ci rendiamo conto dell’abisso politico-morale nel quale siamo precipitati?

D’altra parte in un mondo dove, da sempre, tutti sono in guerra con tutti, noi abbiamo, nobilmente, rifiutato la guerra, abbiamo messo questo alto principio in Costituzione, ci vantiamo della pace settantennale. Peccato che fingiamo di non sapere che le guerre ci sono state, ci sono, e sono stati, sono gli americani a combatterle, e a morire, per nostro conto. E la nostra arroganza è arrivata al punto da non voler neppure pagare le spese vive della NATO. La pseudo statista Angela Merkel ha investito questi quattrini per potenziare la “sua” industria dell’auto e farsi il gasdotto privato con il “suo” amico Vladimir Putin. Dopo Kabul il popolo americano (65%) ha detto basta: armati fino ai denti sì, ma per difendere i nostri confini. Le cuscute europee si arrangino. Prendiamone atto.

Le prossime mosse americane saranno prese sulla base del loro dna isolazionista, si disimpegneranno dal loro vecchio ruolo di gendarme dell’Occidente. Abbandoneranno prima Taiwan e poi Israele. Così la profezia letteraria di Michel Houellebecq si avvererà. Siamo già entrati nella cupezza digitale del modello cino-californiano.

Penso sia giunto il momento per noi europei di decidere: scegliere fra il modello svizzero (mai guerra, un esercito dei cittadini solo per la difesa dei confini) o avere un esercito europeo con i fiocchi e i controfiocchi, con missili e atomiche al seguito, con soldati di leva pronti a morire indossando i mitici boots on the ground. Lo scrivo per dovere professionale, ma non credo al secondo corno del dilemma. Siamo maggiordomi, destinati in un paio di generazioni, a diventare un popolo di servi.

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