IL Cameo


Riuscirò a fare lo “scenarista” in un Occidente dominato dal caos e dalla fuffa?

A 73 anni decisi di smettere di lavorare “a pagamento”. Per 55 anni, 25 da operaio-travet, 20 da CEO, 10 da consulente internazionale di business, ero stato pagato. Da quel momento avrei continuato a lavorare, ma “a gratis”, come dicono a Torino.

Avrei fatto, in contemporanea, l’editore, lo scrittore, il giornalista. In corso d’opera scoprii alcune doti professionali che non sapevo di avere, sia chiaro a livello artigianale, perché a livello professionale so fare un solo mestiere: risanare “aziende bollite”.

Scoprii che c’era un mestiere, praticato da pochissimi, che faceva per me: lo “scenarista”, cioè elaborare “scenari” (ieri di business, oggi politico-militar-culturali). Mestiere che richiede alcune competenze: una fantasia instancabile ma libera, una capacità di illuminare le cose oscure, di abbellire quelle disadorne. In altre parole, dare dignità alle piccole cose. E soprattutto pensare in modo controintuitivo. E ancora, avere la sfrontatezza di immaginare le cose che non sai. Infine, essere una persona non ideologizzata, quindi serva, ma semplicemente perbene.

Come mio libro-vangelo, che mi avrebbe accompagnato in questa avventura senile, scelsi lo Zibaldone di Giacomo Leopardi. Un libro inclassificabile perché è, al contempo, frammentario e infinito, pieno di passioni e di dottrina, dove discipline diverse si intrecciano. Libro fondamentale per capire il caos generato dalle oscene élite dell’Occidente e le loro intelligenze-fuffa, vere o artificiali poco importa. E oggi rappresentati dai giovanissimi “muscadins” di Ultima Generazione, usciti dalle fogne culturali delle nostre luccicanti ZTL.

La mia analisi sull’Occidente e il suo CEO captalism era chiara, ben espressa da una frase di Mao Zedong: “Grande è la confusione sotto il cielo”. Le certezze passate vacillavano, la gestione sciagurata della pandemia prima, della guerra ucraina poi, avevano diffuso un clima generale di instabilità. L’Occidente sarebbe imploso per eccesso di intelligenza, non si sa se artificiale o reale? Che fare?

Mi sono chiesto: perché non ascoltare gli uomini di marketing strategico che collaborano con i CEO, quindi con i Leader Politici? Questi ormai sono a rimorchio del business nel definire i piani strategici futuri.

Scrive Roberto Paura, Presidente dell’Italian Institute for the Future “Viviamo in un’epoca di incertezza radicale, però dobbiamo lavorare per cercare di anticipare il futuro nel quale si vuole vivere e operare.”

Marco Zanardi, Presidente del Retail Institute Italy, propone un’analisi raffinata: “Oggi si parla sempre più di corporate foresight: le aziende devono prepararsi a nuovi scenari, avere la capacità di gestire l’incertezza, costruire visioni di medio-lungo periodo, muoversi a passo di danza nella complessità. Si deve creare unità di corporate foresight all’interno delle aziende, team con il compito specifico di immaginare scenari diversi, con una capacità di apertura a grandangolo rispetto alle dinamiche in essere”.

Mauro Ferraresi, professore associato alla IULM di Milano è perentorio: “Non si parla più di futuro ma di presente anticipato. E sarà la duttilità la maggior caratteristica da praticare per reagire ai momenti di crisi. La crisi è come un setaccio: alcune cose passano, altre no.”

Derrick De Kerckhove, Direttore scientifico dell’Osservatorio TuttiMedia è pure lui definitivo: “Oggi il pensiero è un pensiero assistito, abbiamo delegato tante funzioni alla rete e agli smartphone. Dobbiamo imparare a delegare a ChatGPT certi lavori che lei sa fare meglio di noi, se le facciamo le domande giuste:”

Chiudo la carrellata scientifico-organizzativa con Giorgio Triani, sociologo all’Università di Parma: “Abbiamo bisogno di essere molto creativi e inventivi ma le persone sono molto poco innovative, in un mondo ancora dominato dal pensiero logico-razionale” e con Fabrizio Milano D’Aragona, CEO di Datrix. Anche lui è perentorio: “Per colloquiare con IA abbiamo bisogno di mediatori culturali con competenze sia umanistiche che scientifiche. Dobbiamo imparare a vederci come partner e target della comunicazione.”

Questo passa il Convento. Parlano un linguaggio astruso, ma l’analisi è corretta. Era già tutto scritto nello Zibaldone di Giacomo Leopardi, ma era scritto meglio.

Avrò successo nell’attività di “scenarista”? Noi di Zafferano riusciremo a sopravvivere, non a livello economico (non ci interessa!) ma culturale? Lo capiremo solo vivendo. Prosit!

© Riproduzione riservata.
Zafferano

Zafferano è un settimanale on line.

Se ti abboni ogni sabato riceverai Zafferano via mail.
L'abbonamento è gratuito (e lo sarà sempre).

In questo numero hanno scritto:

Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro