Come scrittore non sono, e non sarò mai in grado di scrivere professionalmente di politica estera. Quindi non posso far altro che riferirmi a un’intervista che Thomas Greminger ha dato al Corriere del Ticino (Francesco Pellegrinelli): domande puntuali, risposte impeccabili e non supine come avviene sui media italiani, tipica di chi domina la materia.
Greminger è un altissimo diplomatico svizzero, specializzato in sicurezza internazionale. Nel 2014 come ambasciatore svizzero presso OCSE è stato mediatore della crisi ucraina, dopo l’annessione putiniana della Crimea. Giudica oggi quei negoziati le tre settimane più intense della sua vita. Ne 2017 divenne Segretario generale OCSE, oggi è direttore del GCSP di Ginevra (Centro per la Politica di Sicurezza).
Secondo Greminger, Vladimir Putin si è reso conto che soltanto minacciando la forza può ottenere quelle garanzie di sicurezza che può dare la diplomazia, dopo una pace sul campo. Lui sta cercando un ordine nuovo ai suoi confini, si è dato l’obiettivo che la Russia abbia sul suo futuro un ruolo almeno uguale a quello dell’America.
Con questa guerra, ambigua per definizione, ha già ottenuto un primo obiettivo, la disponibilità della NATO a negoziare due aspetti rilevanti: 1 la riduzione del rischio militare (per esempio rafforzare il dialogo fra i militari, l’applicazione di strumenti per prevenire incidenti terrestri, aerei, navali, una maggior trasparenza sulle cosiddette “manovre” in prossimità dei confini); 2 il controllo degli armamenti, per esempio un non stazionamento di certe armi (nucleari) nelle zone di confine. E qui ritorniamo al 1962, con russi e americani a parti invertite. Ricordiamo che Nikita Krusciov a un certo punto diede l’ordine alle navi che trasportavano i missili atomici a Cuba di invertire la rotta, salvando l’umanità dalla Terza Guerra mondiale.
Questa volta, secondo Greminger, il dilemma è fra due principi OCSE.
Uno è il “diritto di scegliere liberamente le proprie misure di sicurezza”, sostenuto dall’America, l’altro è il “principio dell’indivisibilità della sicurezza”, sostenuto dalla Russia (loro percepiscono la Nato come un’organizzazione che domina l’Europa e la minaccia). Pochi hanno notato che la Turchia, potente membro della NATO (è l’unica che ha delle vere forze armate ed è disposta, a differenza degli altri europei, a combattere e a morire) si è sfilata, dichiarandosi “terza”.
Ricordiamo che il “principio di indivisibilità della sicurezza” è il punto fermo della politica estera del potente ministro Sergej Lavrov secondo il quale “nessun Paese dovrebbe aumentare la propria sicurezza a discapito della sicurezza di un altro Paese”.
Ora la Russia si è mossa secondo il solito processo mentale imperiale russo, tipico dell’orso: attesa paziente, execution rapidissima. L’America e l’Europa si saranno posti la domanda: e se Putin vince? Una nuova Guerra Fredda potrebbe tonificare la postura degli euro-americani, come sosteneva l’economista-storico Niall Ferguson?
In attesa che i nostri leader rispondano a questa domanda mi permetto un consiglio ai colleghi editori, specie delle tv. Abbiate rispetto della politica estera, liberateci da “odiose” conduzioni tv. Per le vostre trasmissioni affidate il ruolo di esperti a diplomatici e a militari. I non professionisti della comunicazione, perché carenti di competenza specifica, sanno solo buttarla sul gossip (Joe Biden è rincoglionito, Putin è un bastardo con problemi mentali), banalizzando una situazione serissima che può (deve) essere risolta solo con la diplomazia, quindi nel silenzio più assoluto.
In momenti come questi, noi “comunicatori” si faccia tutti un passo indietro (o di lato). La politica estera è materia troppo complessa e seria per noi scribacchini adatti al chiacchiericcio salottiero sulla sola politica interna.