Un po’ sovrappensiero ho risposto i Mussini, della tedesca Schminke. Una mezza verità: più o meno uso quelli, ma non sempre. Gianni ha incassato con grande eleganza e solo allora ho capito di aver fatto una gaffe, che il Gianni appunto era anche il signor Maimeri. Ma poi lui si è lasciato andare ad alcuni approfondimenti sulla natura tecnica del colore molto interessanti e sui suoi “puri”, la serie più pura, appunto, che ha in produzione, fatta solo di polvere di colore ed olio, tra cui spicca su tutti proprio l’oltremare: ha dedicato anche alcune parole di apprezzamento ai Mussini, che contengono però un po’ di resina, quindi non sono puri.
C'è stata poi, altrettanto interessante, Cristina Muccioli, storica dell’arte, che ha introdotto la mostra e presentato il catalogo insieme al critico d’arte Giuseppe Frangi, autore del testo introduttivo. Cristina ha definito “oltremare” una parola polisemica e ne ha spiegato l’origine. Il blu oltremare era un pigmento assai costoso, ricavato dalla pietra dei lapislazzuli che veniva estratta quasi esclusivamente in Oriente, più precisamente in Afghanistan. Il nome "blu oltremare" deriva proprio dalla suo trasporto in Europa dai porti del Vicino Oriente e dunque dalla Siria, dalla Palestina e dall’Egitto.
L'intera mostra, con i paesaggi che indicano un oltre, o meglio un “oltranzismo” del mare, non significa per forza poi trovare un porto, come acutamente scrive Frangi: “Acqua e cielo sembrano incernierarsi l’una con l’altro, in una sorta di autosufficienza che toglie terreno – è proprio il caso di usare questa metafora – ad altre ipotesi: difficile presupporre un’altra sponda. L’'oltre' probabilmente va visto in una diversa accezione. Suggerisce un 'oltranzismo' del mare, un suo proporsi come un’entità non circoscrivibile, come canale ottico che ha per confine un infinito”.