IL Digitale


Il pasticcio Executive Order

A fine ottobre il Presidente ha presentato il suo executive order sull’intelligenza artificiale, che regola lo sviluppo di questa nuova tecnologia e potete leggere qui . Pur mossa da buoni principi, l’amministrazione ha pasticciato l’unione di contributi molto diversi, sviluppati da aziende, accademici e lobby mosse da interessi evidentemente divergenti. Come si diceva a scuola anni fa: il ragazzo poteva impegnarsi di più.

Positiva la definizione di principi guida, come il fatto che l’IA debba essere sicura, promuova innovazione, collaborazione e concorrenza, favorisca la nostra economia domestica e faccia il tutto in modo da rispettare i diritti civili. Biden chiarisce che privacy e diritti fondamentali non possono essere aggirati dalla tecnologia, ma chiude dando un ruolo di controllore e protettore agli enti federali, preludio per maggiore controllo.

Veniamo all’aspetto fortemente negativo. Considerare l’IA come potenzialmente pericolosa per la nostra sicurezza nazionale apre la strada a due rimedi che porteranno solo guai: da un lato l’istituzione di procedure e sistemi di controllo e certificazione, che già sappiamo saranno bellamente gestiti, ed aggirati, dalle multinazionali più potenti a scapito della concorrenza dei piccoli. Dall’altro si arriva a restringere l’uso dell’open source, cosa vitale proprio per aprire allo scrutinio pubblico questi algoritmi complessissimi.

Se pensiamo a Llama2, il large language model di Meta, il motivo della sua ottima performance è proprio la natura open source, la stessa che contribuì allo sviluppo iniziale d OpenAI, poi chiusa da Microsoft dopo l’acquisizione. E’ proprio il carattere aperto del codice che ha portato alla rapida evoluzione dell’intelligenza artificiale, attraverso sforzi che han visto collaborare studenti, professori e professionisti interessati a superarsi, a fare qualcosa di buono. Adesso la nuova impalcatura, che parte dal pregiudizio di pericolosità da cui difendersi, al minimo rallenta, più probabilmente va’ a favorire le multinazionali dominanti schiacciando l’unica cosa che serve, l’open source.

È ovvio che le comunità di sviluppo aperto non hanno i budget e le risorse, tantomeno l’interesse e capacità, per riempire di controlli e burocrazia tutto il codice che sviluppano e testano. La qualità e sicurezza degli algoritmi vengono dal numero di persone che partecipano, mentre in una multinazionale sono frutto degli investimenti milionari in altri software per il controllo di bachi e vulnerabilità.

Inoltre, nella comunità open source non si ragiona in termini di interessi strategici nazionali, non si cerca di sviluppare un robot che batta i cinesi, i russi, o l’avversario di turno. Al contrario, internet nasce per stabilire un’infrastruttura di comunicazione, per mettere in contatto, per favorire lo sviluppo in tutti i paesi del mondo. Se adesso ogni nuovo sviluppo va’ dato in mano al governo, in modo che ne stabilisca se può essere messo in commercio o meno sulla base di considerazioni geopolitiche, ci ritroviamo nel totalitarismo che abbiamo visto in Cina.


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite