Notizie dagli USA


Domande ai manifestanti

Nel bel mezzo della mia corsetta serale, mi imbatto in una quarantina di manifestanti pro-Palestina che cantano e sventolano cartelli e bandiere vicino ad un incrocio. Due cose sorprendenti: la scelta del posto, in estrema periferia, buio e per nulla frequentato, ed il fatto che buona parte degli automobilisti suona, sorride e fa il tifo per loro. La loro richiesta, umanamente condivisibile, è quella che Israele fermi gli attacchi sui civili e pensi solo a liberare i 220 prigionieri rimasti nei cunicoli di Hamas. Non danno un chiaro giudizio di Hamas, probabilmente lasciato ai posteri.

Incuriosito, mi fermo e gli chiedo perché han deciso di manifestare in questo posto isolato e perché mai pensano che Israele dovrebbe reagire in modo proporzionato all’uccisione di 1400 civili. La guerra è per definizione assenza di regole, di remore, di reciprocità. A fronte di 2.400 morti a Pearl Harbor, l’America ha ucciso 2.600.000 giapponesi; dopo i tre mila morti delle Torri Gemelle, abbiamo ucciso milioni di mussulmani in Asia, mezzo milione di bimbi iracheni. Specie quando gli attacchi sono a tradimento, o terroristici come nei casi citati, le regole, remore e reciprocità non vengono nemmeno prese in considerazione.

La prima risposta è notevole: in centro ci sono manifestazioni di continuo, sia pro-Palestina sia pro-Israele, ma i media iniziano a favorire i secondi per favorire l’Amministrazione. Quindi i propalestinesi han deciso di lasciare la ZTL per diffondere il messaggio in ogni quartiere, supermercato, incrocio stradale. Su un marciapiede che normalmente vede passare quattro gatti in tutto il giorno, questo gruppo di manifestanti è un bel vedere.

La seconda è delicata ed ha richiesto un dibattito intenso. Alcuni partivano da una concezione idealista di buoni, cattivi, volemose bene, dobbiamo rispettare ogni essere umano e fantomatiche leggi universali. Basta rivedere i video dell’attacco del 7 ottobre per capire che così non è con Hamas, ed andare indietro nel tempo per giustificare il presente con una storia infinita di oppressione, occupazione e rivolte è inutile. Se accettiamo la decapitazione di un bimbo, l’uccisione di ragazzi o anziani inermi sulla base di quanto hanno subito le generazioni precedenti, possiamo tornare all’imperatore Tito, ai faraoni egizi, all’uomo preistorico, ma perdiamo solo tempo e vite umane.

Meglio accettare il fatto che oggi entrambe i contendenti considerino il nemico come sub-umano, immeritevole di compassione e reciprocità. Anche le ultime dichiarazioni dei capi non fanno intravedere spiragli per un processo di riconciliazione: al minimo vogliono l’espulsione del nemico dal paese, se non la sua completa distruzione. Peraltro nessun paese, dagli arabi limitrofi a quelli più lontani in Europa o America, è pronto ad accogliere milioni di rifugiati: la questione non si pone. Israeliani e palestinesi dovrebbero accettarsi come pari ed iniziare a convivere.

Come vediamo nel conflitto ucraino, il fatto che uno dei contendenti sia cattivo e giudicato più colpevole dell’altro, non conta nulla. Se entri in guerra lo fai per vincere, che significa l’annientamento o resa dell’avversario, tertium non datur. Brutto dirlo, ma se vogliamo salvare vite umane in una situazione di guerra, la resa è la strada migliore, se la vittoria non è possibile o richiede troppi morti. Putin e Lavrov ripetono periodicamente che ogni aiuto agli ucraini non fa che prolungare le loro sofferenze: per gli ultimi 620 giorni di conflitto hanno avuto ragione loro, il paese è asfaltato, centinaia di migliaia i morti, milioni i rifugiati all’estero. Vale la pena andare “fino alla fine”?

I palestinesi si trovano nella stessa identica situazione: occupati da una forza maggiore, non importa se giusta, buona, o tutto il contrario. Potrebbero ribellarsi ad Hamas ed espellerli, consegnandoli ad Israele, o possono andare fino alla fine combattendo, che significa solo distruzione.

I manifestanti all’incrocio han perso lo smalto ed i loro canti, ma preferiscono rimanere e continuare a mostrare i cartelli: io li ho ringraziati per il confronto, scherzato sul fatto che non mi avessero riempito di botte, e completato la corsetta. Sono molto felice dell’incontro, perché solo dal dialogo viene la possibilità di risolvere un conflitto, senza farsi troppo male.

© Riproduzione riservata.
Zafferano

Zafferano è un settimanale on line.

Se ti abboni ogni sabato riceverai Zafferano via mail.
L'abbonamento è gratuito (e lo sarà sempre).

In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite