Vita d'artista


Parliamo di fiere d'arte

Ho espresso più volte qui su Zafferano la mia insofferenza in quanto artista riguardo alla fiere, quel territorio tra Scilla e Cariddi dell’arte contemporanea. Penso che presentare il proprio lavoro in uno stand fieristico non sia proprio il massimo, soprattutto non lo è l’atmosfera asettica della fiera, con le sue luci abbacinanti e le finte pareti in cartongesso, che dovrebbero in qualche modo...

...delimitare un percorso anche culturale, un’idea della galleria che ti presenta. Personale o collettiva che sia, l’esposizione curata da una galleria, a meno che non sia molto imponente (quel tanto da contrastare il bianco secco delle pareti e l’aria malsana), generalmente si confonde con le altre, e le opere più serie svaniscono. Fatto sta che i galleristi, per staccarsi un po’ dal contesto generale, devono strafare, e se non hanno opere all’altezza, strafanno in peggio.

Neanche tanto tempo fa per una galleria partecipare alle fiere non era rilevante e quelle con un buon parterre di collezionisti spesso rifiutavano. Se partecipavano, invece, coglievano l’occasione per portare, come ricordo alle volte alla fiera di Bologna (e naturalmente a Basilea), opere enormi e difficili da vedere in galleria, usando bene lo spazio a disposizione. Oggi, se non partecipi a una fiera d’arte sei un parìa. Cosa ha portato la maggior parte dei galleristi a calarsi le braghe così? Un’illusione di mercato in tempi grami? La brama globalista? La cosa ancor più ironica è che le fiere, nate come pura occasione commerciale quindi necessariamente con una certa varietà d’offerta, sono diventate molto pretenziose ed elitarie, con tanto di progetto curatoriale ad hoc. Va da sé che, sperando di circoscrivere il mondo dell’arte in un preciso cerchio magico, i novelli curatori con divisa d’ordinanza, in genere provenienti dall’unica fiera italiana a partecipazione statale, cioè Artissima, declinino tutte le fiere nello stesso identico modo.

E ciò che dovrebbe essere puro mercato diventa anch’esso qualcosa di pilotato e uniforme, una miscellanea ben costruita e omogenea che scimmiotta mostre pubbliche quali la Biennale di Venezia, che poi non a caso si trasferisce a Basilea, e viceversa. Un'unica fiera il cui unico scopo è quello di costare molto. Il tutto in nome di una sorta di cultura sovranazionale “alta” in cui si è trovato il modo di far passare molti artisti sempre come "provinciali" e un passo indietro agli altri (ma poi chi sono, questi "altri"?). Peccato che tutto questo meccanismo soffocante si continui a perpetrare anche dopo un anno e mezzo di pandemia e un Paese in ginocchio, e addirittura con questa scusa si riducano il numero degli stand a vantaggio dei soliti noti e del pensiero unico. E’ intollerabile. Speriamo che coloro che sono rimasti fuori da queste ultime fiere sempre più conformiste, ma anche quelli imprigionati dentro, e soprattutto gli amanti dell’arte, si rendano conto che questo tipo di proposte fieristiche falsamente attuali rappresenta una realtà ormai posticcia. Bisogna proprio tornare ad avere un sano gusto dell'avventura.


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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro