SEGUI I SOLDI E ARRIVI ALLA VERITA’ SUI MIGRANTI
Da diversi giorni, lettori mi scrivono per invitarmi a intervenire sull’episodio della Sea Watch. Ad alcuni ho spiegato, privatamente, che mi è difficile inserirmi nel dibattito colto e salottiero che dura ormai da anni su questo tema. Il mio modello culturale, il faro al quale, da sempre, mi aggrappo nell’affrontare qualsiasi problema sociale è stato solo uno, il rispetto della legalità, punto. Sono stato allevato con questi principi, molto diffusi nella classe operaia d’allora, e da essi non sono mai riuscito a schiodarmi. In quest’ottica non ho accettato di partecipare a nessun talk show, o meglio nessuno mi ha confermato l’invito iniziale dopo aver conosciuto la mia posizione che avevo così anticipato: “Vi informo che in trasmissione, non accetterò di fingere che i migranti siano in mare lì per caso, come fossero naufraghi. Quelli che scappano dalla guerra (Convenzione di Ginevra) si vanno a prendere con traghetti e con aerei, gli altri, nella quasi totalità, migranti economici, come i miei nonni, devono rispettare la “chiamata” e le leggi dei singoli paesi, Così funziona in Svizzera e in Giappone. L’attuale modalità ha a che fare con la criminalità organizzata: usano i migranti come business”. Sono stato immediatamente cancellato dalla lista degli ospiti delle compagnie di giro delle varie tv di regime. Malgrado ciò sono vissuto felice.
Resto fermo nella mia intuizione iniziale di non chiamare naufrago, ma cliente, uno che paga, complessivamente per l’intera tratta, 6-8.000 $ (chi conosce l’Africa subsahariana sa che queste cifre denotano l’appartenenza alla classe medio-alta, il possesso, spesso, di iPhone X lo conferma) per attraversare, illegalmente, più paesi fino ad arrivare in Libia. E qua deve appoggiarsi, per le note leggi di mercato, a organizzazioni criminali di scafisti, per la traversata, sapendo in anticipo che costoro non rispetteranno mai il negozio. In altre parole, dopo averli imbarcati su gommoni di fabbricazione cinese a obsolescenza programmata (qualche ora, mi dicono), comunque non in grado di effettuare la traversata, e dopo aver incassata la tangente, li abbandonano in mare al loro destino, rientrando a terra con appositi barchini. Questo prevede il loro protocollo criminale e i clienti lo conoscono. Questi sventurati devono sperare, perché il processo logistico si completi, in qualche ONG acquatica in perlustrazione. Il naufrago, per noi cittadini comuni, è una persona che cade in mare da una nave, è passeggero o equipaggio di una nave che affonda, non certo uno che paga, a dei criminali, un biglietto per essere abbandonato in mare. La figura del naufrago a pagamento non esisteva fino alla scoperta di questo modello di business criminale, senza dubbio innovativo in termini di redditività, ma ad altro rischio per i clienti.
Così sulla capitana, Carola Rackete (preferirei chiamarla comandante, 2 lauree, studiosa degli albatros, 5 lingue fluenti, ricca, tedesca) non ho nulla da dire, specie dopo le parole alte del Presidente della Repubblica Federale di Germania. Ho molto apprezzato l’elegante silenzio del nostro Presidente sui due criminali-manager della ThyssenKrupp fuggiti in Germania dopo la condanna e da anni liberi, malgrado una sentenza passata in giudicato di un paese amico (sic!). Con politici arroganti di tal fatta meglio comportarsi da signori come ha fatto Sergio Mattarella.
A detta della Guardia di Finanza e della Magistratura la Comandante ha compiuto dei reati, e pare anche gravi, ma i “competenti” hanno spostato l’ottica sulla disobbedienza civile per scopi nobili in un clima politicamente avvelenato (giuridicamente non significa nulla, ma tant’è), schierandosi con lei. Pretendevano pure (incredibile!) che lo facesse anche il Presidente, dimenticando che lui è Presidente del Consiglio Supremo di Difesa (Marina Militare), Presidente del CSM (Magistrati), ha insediato il Governo Conte, ha nominato i ministri.
Non so che dire, sono un vecchio, quindi resto fermo alla legalità violata. Alcuni hanno paragonato Carola Rackete ad Antigone, io sono arrivato solo a domandarmi “Il conflitto di valori di Antigone era stato pianificato a tavolino da Sofocle?”. Poi, ho gettato la spugna, per mia manifesta incompetenza.
Allora sono tornato al mondo del business, ove mi muovo con più scioltezza, perché mi identifico nel principio di Giovanni Falcone: “Segui i soldi”. Così troverai la verità, quindi, se del caso, il colpevole. Non dimenticherò mai l’intercettazione di Mafia Capitale di Salvatore Buzzi che mi fatto capire, in modo definitivo, come affrontare l’analisi del tema “migranti: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”. Si potrebbe finire qua, ma andiamo avanti nell’analisi.
Leggo Fausto Biloslavo (Il Giornale) che ha messo in fila, in modo pignolo, tutte le spese fatte da Sea Watch nel 2018. Andiamo al totale: 2.700.000 €. Poi vado dall’amico Bruno Tinti (Italia Oggi) già importante magistrato e oggi titolare di uno studio legale “Un immigrato clandestino che si era rivolto a noi, imbarcatosi in Libia dopo un lungo viaggio attraverso mezza Africa, ha mantenuto per oltre due anni la sua famiglia in Bangladesh (5 persone) con i 2,5 € giornalieri (75 €/mese) ricevuti dallo Stato italiano durante l’attesa per avere il permesso di soggiorno e tutti trasferiti in Bangladesh”. Bruno fa un paio di divisioni e conclude che con i quattrini spesi nel 2018 dai padroni di Sea Watch si sarebbero potuti “salvare in loco” circa 15.000 persone. Sono senza parole. Il catafalco della cultura salottiera della migrazione delle élite nostrane è crollato miseramente solo facendo un paio di divisioni, accoppiando le spese di Sea Watch e quelle di un migrante risparmiatore del Bangladesh? Non ci posso credere. Eppure è così. Bruno ha ragione. Fine di un bluff?
Dove sta la ratio, allora? Perché questa decisione delle élite di perseguire pervicacemente una strategia (perdente) di tal fatta? Che, a detta della loro stessa minoranza (siamo quattro gatti), favorisce quelli che loro chiamano “populisti” e che invece, proprio per colpa loro, stanno diventando popolo? La risposta io l’ho, l’ho da una dozzina d’anni, ci scrivo da una dozzina d’anni: Segui i soldi. Troverai non la Spectre ma molto più banalmente dei mafiosi in guanti gialli, dei cosmopoliti dai curricula prestigiosissimi di cui sappiamo tutto, ma fingiamo di non sapere nulla. Prosit!
QUELLA CON LA QUALE LA GIP DI AGRIGENTO NON HA CONVALIDATO L’ARRESTO DEL COMANDANTE DELLA SEA WATCH È UN'ORDINANZA GIURIDICAMENTE ERRATA (di Bruno Tinti, ex magistrato)
UN MOMENTO MAGICO: L’ESAME DI 3° MEDIA ALLA NIEVO-MATTEOTTI DI TORINO”
Una premessa, doverosa. Pur essendo un liberale, uno dei pochi liberali nature rimasti su piazza, e pure apota, per me scuola e sanità dovrebbero essere pubbliche. Una notazione a conferma: colpito da un carcinoma non banale lasciai la prestigiosa sanità svizzera, rifiutando pure famose location sanitarie anglo-americane, ove ero vissuto per molti anni, e mi precipitai all’ospedale pubblico Molinette di Torino, come paziente pagante. Qua sapevo di trovare due professori (Dario Fontana, Umberto Ricardi) “competenti” sul serio. Qua trovai protocolli e macchinari di assoluta affidabilità, medici e assistenti sanitari, non solo di livello professionale altissimo, ma con un’abilità (skill) non presente altrove: il rapporto umano, come filosofia di vita, e l’umanità dei singoli, come prassi.
La stessa cosa l’ho trovata, in modo casuale, in un piccolo spicchio della scuola pubblica italiana, la scuola media Nievo-Matteotti di Torino. Non sapevo che fosse richiesta, all’esame di 3° media, la presenza di un adulto accompagnatore (a scelta, genitore, parente, amico). Fui perplesso quando la nipotina Carla Maria mi scelse come accompagnatore, immaginai perché ero il più vecchio dei quattro nonni. In realtà mi ha fatto un grande dono: passare due ore meravigliose con lei e con le sue insegnanti (tutte donne) che la interrogavano. Certo, è uno spicchio infinitesimale della scuola italiana, ma per me è stato un momento magico. Il modo con cui l’esame è stato condotto era un mix equilibrato tra i comportamenti classici presenti nel rapporto insegnante-allievo (approfondimento e verifica dei contenuti scolastici) e il digitale applicato alla scuola (la presentazioni con slide, i video di supporto autoprodotti, l’uso di due lingue straniere nell’interrogazione). Ma rigore ed empatia erano ben integrate, e il tutto avveniva in scioltezza, come succede quando tutti gli attori sul palco sono preparati.
A me interessava l’atmosfera nel quale l’esame si svolgeva. Era per tutti il momento della verità: le insegnanti verificavano il loro investimento pedagogico e culturale su Carla Maria durato tre anni; Carla Maria aveva il compito di trasferir loro l’impegno che aveva profuso nello studio e nei suoi comportamenti scolastici; attraverso di lei, in filigrana, erano indirettamente valutati i suoi genitori, la sua famiglia (Sono stati di certo un valore aggiunto). Ebbene io dall’esame ne sono uscito orgoglioso, certo per essere il nonno di Carla Maria, ma soprattutto, come vecchio italiano residente all’estero da quasi trent’anni, quindi più orgoglioso di essere italiano di quelli stanziali che esaltano mondi ricchi di fuffa che non conoscono, orgoglioso di questa scuola media, che mi auguro sia estensibile a tutte le altre scuole medie italiane.
Da circa un anno seguo, per pura curiosità intellettuale, qua in Svizzera, l’introduzione della figura del “mediatore liceale”, una delle tipiche invenzioni organizzative del Ceo capitalism, quando non sa che pesci pigliare. Posso dirlo? Mi ricordano i nostri navigator. Nascondere i problemi inserendo nell’organizzazione scolastica figure burocratiche intermedie a valore aggiunto esclusivamente comunicazionale, lo trovo un atto distorcente della verità e della serietà professionale. Anche in Svizzera si tende, finalmente, a dare la colpa delle criticità della scuola all’osceno (per me sia chiaro) modello culturale, economico, politico, in essere in tutto l’Occidente.
Così scoprono la fragilità emotiva delle nuove generazioni (i “fragili” si valutano nel 30% del totale, sic!), conseguente a quella che giudicano un eccesso di competizione. Sarà mica la banale necessità di studiare e, purtroppo, studiare costa fatica? Questa fragilità emotiva in realtà deriva, e si aggiunge, a quella dei genitori e della società, creando un mix esplosivo intergenerazionale. Così nasce l’idea di una scuola “più orientata verso le materie umanistiche e meno verso quelle scientifiche, notoriamente più ostiche” (traduzione: ridurre le seconde perché richiedono maggiore impegno). Tutto già visto nelle Università italiane, dove lo sbocco finale di questa filosofia educativa da follower perenni sono i centri sociali e i “rave party all’insaputa del Rettore”. Teniamoci stretta la Nievo-Matteotti di Torino, finché possiamo.