Pensieri e pensatori in libertà


Psicologie di guerra

Tra gli effetti collaterali della guerra Russia-Ucraina troviamo l’alzarsi della tensione nelle discussioni, da quelle private a quelle sui social, e la perdita della ragionevolezza. Si è detto molto dell’Università Bicocca che chiede al professore di inserire qualche autore ucraino vicino al pericoloso Dostoevskij – con relativo rifiuto – e del militante sindaco di Milano Beppe Sala che chiede al direttore d’orchestra russo Gergiev, che di solito non fa comizi prima di dirigere, di professare il suo anti-putinianesimo.

Restando nella musica, il MET di New York non ha voluto essere da meno del capoluogo lombardo e ha chiesto alla splendida Anna Netrebko, la migliore soprano del mondo, un’analoga dichiarazione di distanziamento dal proprio presidente, come se inserisse il suo nome negli enigmi di Turandot. Molto discutibile anche il divieto di partecipazione alle Paralimpiadi agli atleti russi, che sarebbero apparsi senza insegne e bandiere.

Non stiamo meglio sulle sponde opposte, almeno a opinioni se non a decisioni. Il generale della Gladio che dichiara che “il problema è Zelensky e non Putin” sfida il buon senso che di solito si rifiuta di scambiare oppressore e oppresso, aggressore e aggredito. Come lo sfida il filosofo Diego Fusaro affermando che “il problema è Washington e non Mosca”. Il fatto di poter esprimere questa opinione dovrebbe comunque interrogarlo su quale sia la città dove c’è un problema maggiore, eppure non basta.

No, non basta mai perché è già cominciata la solita storia che ci porta a ragionare di politica come di squadre di calcio, soffocati dai sentimenti e dalle emozioni. Nel 1895 uno studioso francese, Gustave Le Bon, aveva scritto un libro, La psychologie des foules (La psicologia delle masse) nel quale aveva sostenuto una legge universale: l’uomo massificato ragiona diversamente dall’uomo singolo. La stessa persona, quando si trova in massa, ragiona diversamente da quando è a casa o tra amici. La guerra, con il suo tremendo carico emozionale, ci massifica ulteriormente, ancora di più di quanto già non siamo normalmente. Per questo, le discussioni diventano tanto accese, le decisioni tanto equivoche e ambigue, gli schieramenti così polarizzati.

L’unica cosa divertente in tutto questo è il formarsi di nuove compagnie di giro e nuove propensioni e atteggiamenti. Veterocattolici si uniscono a veterocomunisti nel parteggiare per Putin, ammiratori di Putin e dei valori tradizionali si trovano ora a braccetto con Anonymous e difensori dei diritti LGBTQ+, progressisti di una vita si vedono urlare slogan pro NATO dopo aver passato la gioventù a contestarla. E tutti con la medesima passione, condanna del nemico, indignazione assertiva. Già, perché ciò che non cambia dalla cancel culture alla guerra è il moralismo dei giudizi e la perentorietà delle affermazioni, che abbiamo tutti ereditato dal cocktail del liberalismo calvinista americano: siccome non la pensi come me, sei sbagliato e mi indigno senza remissione. E se facessimo una tregua sull’indignazione almeno fino alla fine della guerra?


© Riproduzione riservata.
Zafferano

Zafferano è un settimanale on line.

Se ti abboni ogni sabato riceverai Zafferano via mail.
L'abbonamento è gratuito (e lo sarà sempre).

In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro