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Probabilità di guerra

Negli ultimi due anni di Covid tutti noi abbiamo iniziato a masticare rudimenti di statistica: quant’è probabile prendersi la malattia se stai all’aperto, se metti la maschera, se ti vaccini una, due o tre volte. Siam partiti dall’immunità di gregge, calcolata moltiplicando l’efficacia del vaccino per la percentuale di copertura della popolazione, quelli che hanno deciso di vaccinarsi o che son guariti. E poi da li abbiamo imparato dei meriti e demeriti di vaccinare i giovani, i bimbi piccoli, rincorrendo questa o quella variante sempre più impestata, e capendo che un'altra potrebbe emergere ogni momento, anche oggi.

Concentrati come falchi sul virus siamo diventati più sedentari, abbiamo saltato visite di controllo, aumentato il consumo alcolico, siam diventati marmotte antisociali, abbiamo notevolmente peggiorato la nostra salute fisica e mentale, anche per chi è riuscito ad evitare il virus. Oggi molti di noi si mettono la maschera in modo automatico, tiriamo fuori il super mega green pass con naturalezza, sternutiamo nel gomito, ligi soldati forgiati dalla guerra contro il virus. Già, perché su tutti gli schermi e giornali del mondo quella contro il Covid è stata una guerra: “servono sacrifici, ma ne usciremo tutti assieme”, “we will meet again” (ci ritroveremo), “chi non lotta è figlio di ..” usato per denunciare no-vax e persone di buon senso che non mettono la maschera in spiaggia o in una piazza vuota.

Manco a farlo apposta, ora siamo in una guerra vera: volano insulti, sanzioni, ma specialmente bombe. Siamo già abituati a metter la KN95, chi sa che modello indossare per un fall-out nucleare? Quali sono le probabilità da considerare in guerra?

Come per Covid, la prima è quella della diffusione. “Tranquilli, resta in Cina, qui in Europa al massimo qualche contagio, niente di preoccupante” ci dicevano i massimi soloni ad inizio 2020. Eccoli adesso: “Putin vuole occupare l’Ucraina, è un conflitto locale, noi rispondiamo con le sanzioni”. Forse gli sfugge che quando dai armi, munizioni e personale di addestramento ad uno dei combattenti, anche se sopra ci scrivi “aiuto umanitario” per salvare la coscienza, l’avversario lo legge come un atto di guerra.

Poi c’è la versione bellica dell’immunità di gregge, calcolata moltiplicando l’efficacia dei sistemi d’arma per la percentuale di copertura dei combattenti, quelli che son pronti ad uccidere. Putin s’è accorto che i suoi soldati, di fronte ad una popolazione che parla la loro lingua e molto spesso ha amici e parenti russi, non è pronto a sparare in faccia al prossimo. Avrete visto i video dal campo, le manifestazioni di protesta a San Pietroburgo e Mosca, ai russi questa guerra non va bene. Ed ecco che Putin, pur con sistemi d’arma migliori, si trova in difficoltà e passa ad armi di distruzione di massa, perché sui soldati non può far affidamento.

Infine, dobbiamo seguire i soldi, follow the money, proprio come con le case farmaceutiche alla ricerca dei massimi profitti di borsa. La Shell ha appena comprato centomila tonnellate di petrolio di alta qualità dagli Urali, a prezzo scontatissimo: si prendono qualche critica da chi pensa stiano aiutando il demonio, ma ridono perché han fatto l’affare dell’anno.

Forza, in questi due anni di Covid abbiamo imparato a far la tara a tutti i competenti del virus, a distinguere tra probabilità farlocche e quelle realiste, a regolarci con la nostra zucca per gestire il rischio di infezione. Adesso usiamo questi due anni di apprendimento della statistica per leggere in modo critico questa guerra, sapendo che ci siam dentro fino al collo, ed il rischio è quello di affrontare anni difficili, se non un’esplosione nucleare. Notate cosa dicono i soloni sulla probabilità di attacchi atomici: “Tranquilli, Putin beffa, non lo farebbe mai”, “Al limite ne tira una in mezzo all’oceano senza far male a nessuno, solo per spaventarci”. Sono obbligati a dirlo, perché nessuno di noi vuole vaporizzare in una nuvoletta atomica tra qualche settimana, e perché proprio questa prospettiva sgonfierebbe la guerra, le sanzioni e tutto l’ambaradan. Follow the money.


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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
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