Pensieri e pensatori in libertà


Condividere? Un problema logico

Sollecitato da un paio di incontri su temi attuali come il politicamente corretto 2.0 che ci sta invadendo, dopo aver invaso gli Stati Uniti (qui trovate il video, se vi interessa), e le fake news che ci hanno già invaso soprattutto a partire dall’era social, mi sono imbattuto nella necessità di tornare a un’antica pratica della filosofia: la sospensione del giudizio.

Purtroppo, tale pratica è spesso stata ascritta esclusivamente alla filosofia scettica, che la raccomandava metodologicamente in tutte le situazioni e rispetto ai grandi problemi del destino dell’esistenza, ma di per sé è una delle pratiche logiche più antiche e spesso salutari. In due parole: quando non si sa, si sospende il giudizio o, come insegnavano le mamme, “quando non sai, stai zitto”. La logica, infatti, nasce dal rapporto con le cose: se le cose non sono chiare per loro natura o per mia condizione, se non sono ancora emersi i dettagli precisi o se non le ho capite, posso esercitare la virtù del sospendere il giudizio, cioè del rimandarlo al momento in cui le cose si saranno chiarite, per forza loro o mia.

Messa così, non si tratta di un vizio o di una debolezza per cui non ci si vuole impegnare con una soluzione. Non si vuole rimandare il giudizio per paura di esporsi. Si rimanda perché non se ne sa abbastanza e ci si ripromette di cercare, se il tema interessa. Mentre se non interessa, perché dire qualcosa?

In epoca social la sospensione del giudizio diventa ancora più eroica e difficile. Ci sembra che non mettere un like, non condividere, girare, ritwittare sia una mancanza di partecipazione e, nel politicamente corretto avanzante, una mancanza di segnalazione di appartenenza, lotta sociale, schieramento con la correttezza mainstream o con la scorrettezza anti-mainstream.

Curiosamente, tale atteggiamento coglie tutti, i vax e i no-vax, i destri e i sinistri, i cattolici militanti e quelli della scelta religiosa. Tutti sono accomunati dall’ansia di esprimere qualcosa, a tutti i costi e in tempi brevi. Si amplia così, su scala social globale, la confusione mentale per cui ci si esprime non solo senza sapere ma senza desiderare di sapere, unica condizione necessaria per un’espressione sensata e per una logica fondata. Il desiderare di sapere vuol dire, infatti, che si cerca qualcosa di diverso da sé, di più grande di sé, che spieghi qualcosa di sé o che nasce dentro di sé. Senza questo movimento aperto all’alterità, c’è solo espressione di sé, consolante per i nostri ego in cerca di affermazione, ma alla fine noioso e deludente come i nostri ego che conosciamo anche troppo bene.


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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro