IL Digitale


Le Start-up non tirano

Nel numero scorso di Zafferano ho scritto dei diversi usi e costumi di fare impresa in America, non migliori o peggiori di quelli europei, ma assolutamente da apprendere per imprendere qui. Veniamo al mito delle start-up, delle aziende create nel garage da amici di scuola che poi scalano e ti ritrovi con i vari Zucki, Jeff, Bill, gli Elon miliardari e centinaia di altri milionari. Silicon Valley ha costruito la sua fortuna nell’illudere generazioni...

... di giovani brillanti per poi sfruttarli con orari lavorativi che manco in Cina, mettendoli in dormitori dal nome figo (co-living) o in uffici pollaio (co-working) e cibandoli di sushi, riuscendo pure a vendergli delle cyclette da $3000 perché hanno un monitor e la musica.

Il fatto che il 72% di questi imprenditori soffra di disturbi mentali, e con i loro i famigliari in percentuale molto maggiore del resto della popolazione, oppure che la mortalità aziendale quando il fondatore ha meno di 40 anni sia molto alta (qui  e qui) non viene documentato come serve.  Il mito del Fail Fast, Fail Often (fallisci velocemente, fallisci spesso), nonostante la copertina di Stanford, è la classica caxxta pazzesca di fantozziana memoria: se sei pieno di soldi te lo puoi permettere, altrimenti il fallimento è esperienza drammatica e marchio da evitare.

In quest’anno di covid molte start-up digitali sono fallite e moltissime sono state fagocitate per spiccioli da aziende industriali di maggiori dimensioni, che comprano a buon mercato tecnologie innovative ed a buon stadio di sviluppo. Al contrario sono andate molto meglio, ed hanno prospetti rosei, quelle che combinano la tecnologia con un applicazione industriale e la trasformano rendendola vuoi più potente o meno costosa.

Un campo molto promettente per i ragazzi e le aziende italiane è quello del firmware, del software che controlla macchinari, robot, centraline elettroniche sempre più diffuse nei prodotti commerciali ed industriali. In altri termini, per chi vuole creare impresa, il mercato dell’automazione è ricco di opportunità perchè non standardizzato e commoditizzato da poche multinazionali, ed ancora aperto alla fantasia. Questo vuol dire coniugare software ed hardware, digitale ed ingranaggi, bracci meccanici, sorgenti laser. Vi va di scommettere?

Le piccole aziende italiane, che possono solo sopravvivere con rapida innovazione di prodotto e processo, sono la miglior palestra per aspiranti imprenditori.  Senza fare nomi, ma nel campo della meccatronica applicata all’industria automobilistica, energetica, alimentare, logistica e farmaceutica ci sono eccellenze che non hanno nulla da invidiare sul panorama globale.  Se gli imprenditori più stagionati investono sui giovani per incrementare l’innovazione tecnologica, e se cominciano a conoscere il mondo dei venture capital, la possibilità di aumentare impiego e ricchezza in Italia cresce. 

Con la fine delle economie di scala e l’accorciamento delle filiere logistica, un azienda da $25-30mln di fatturato ha le dimensioni per fare molto bene. Chi non risica, non rosica.  

Buone feste.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Giordano Alborghetti (Bergamo): curioso del software libero, musicofilo, amante del mare
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro