IL Digitale


Paura dello strumento

Dopo 118 giorni di trattative sindacali, anche gli attori sono riusciti a spuntare buona parte delle condizioni richieste: bene quelle economiche, curiosa quella di avere un allenatore per le scene di sesso, importante quella sulla protezione dall’intelligenza artificiale. Da oggi, le aziende cinematografiche devono richiedere il permesso scritto di ogni attore prima di usare la sua immagine in materiale prodotto dall’intelligenza artificiale, e soprattutto devono pagarlo ogni volta che usano il suo avatar.

Alcuni attori famosi, avendone i mezzi economici, si erano già fatti l’avatar per proteggersi dallo sfruttamento delle major, ma è servito questo accordo sindacale per proteggere la totalità dei lavoratori, che non potevano permettersi l’investimento nel proprio gemello digitale. Da un punto di vista legale, siamo su terreno scivoloso: l’avatar è una rappresentazione digitale creata da professionisti, con strumenti come Canva, che potete provare facilmente. Questi professionisti potrebbero accampare il diritto d’autore sull’avatar, ma cosa succede quando questo è fatto ad immagine e somiglianza di una persona vera? Chi è il proprietario della propria immagine? Ora che gli attori son protetti, cosa succede alle altre categorie?

A ben vedere, la paura dello strumento s’è ritorta contro la massa degli attori. In questi giorni abbiamo un nuovo album dei Beatles in classifica, fake generato da AI, e vediamo il successo degli avatar di attori e cantanti famosi, che rubano la scena agli altri meno conosciuti. Una Scarlett Johansson che si clona in tanti avatar non ha nulla da temere per i propri compensi, al contrario: metterà a lavorare le gemelle digitali in tanti altri film, a tutti gli effetti bloccando la crescita di nuove star.

Negli ultimi vent’anni è raddoppiato il numero di film prodotti, principalmente grazie alle tecnologie digitali che consentono di creare sceneggiature altrimenti costosissime ed impegnative per mesi. Ma nello stesso periodo sono anche raddoppiati gli incassi dei blockbuster, lasciando meno briciole alle altre produzioni. Come in passato le piattaforme digitali hanno portato alla creazione di pochi e ricchissimi CEO con la felpa, l’intelligenza artificiale aggiunge benzina sul fuoco nel divario tra i pochi e la massa. È chiaro che se ci trovassimo una Johansson o un Tom Cruise in ogni trasmissione ed ogni videogioco, ci verrebbero a noia, ma non serve arrivare a quel punto per renderli molto più monopolisti di quanto siano oggi. Ed il bello degli avatar è che non invecchiano, non ingrassano, non perdono i capelli, li trasformi come vuoi e li mandi a lavorare al posto tuo: novelli schiavi 4.0.

Se anni fa per diventare attore serviva tanta gavetta sul palcoscenico, corsi professionali, capacità di vendersi e quantità smisurata di fortuna, oggi occorre aggiungere notevole dimestichezza con le tecnologie digitali, social media marketing, e prospettiva globale. L’intelligenza artificiale è solo uno strumento, che esattamente come automobili, aerei e ponti può causare danni all’uomo. Ma abbiamo creato la civilizzazione proprio progettando, studiando ingegneria meccanica, fluidica, strutturale, per risolvere e mitigare i rischi che derivano da questi strumenti. Così come auto, aerei e costruzioni oggi sono molto più sicure ed efficienti di quelle passate, perché siamo entrati nel dettaglio delle cose, nella matematica e fisica ed abbiamo capito come ottimizzarli, così dobbiamo fare con l’IA.

Buttandoci dentro, giocandoci, non accettando nessuna scatola nera, nessuna segretezza su come funziona il ranocchio elettronico. Dobbiamo vedere l’intelligenza artificiale come uno strumento di collaborazione sociale, entrare nel suo motore e vedere le persone coinvolte. Se volete approfondire questo affascinante argomento, nulla di meglio di questo articolo di Jaron Lanier, padre della realtà virtuale. Buona lettura.


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite