Chatbot è un termine che indica tutti quei programmi che consentono alla macchina di comunicare con la persona, nella maggior parte dei casi attraverso voce o messaggi. I modelli primitivi non avevano intelligenza artificiale, ed occorreva quindi immaginare tutte le possibili domande cui rispondere, una missione impossibile. La stessa frase può essere espressa con parole, toni ed inflessioni diverse, e queste caratteristiche possono solo essere gestite con l’intelligenza artificiale.
Le chatbot sofisticate son basate su un database che contiene il sapere, la tassonomia e le logiche con cui rispondere o raccomandare una determinata azione. Nel caso di supporto clienti per una linea di prodotti, in quel database mettiamo tutto quanto c’è da sapere in termini di installazione, manutenzione e contrattualistica, in modo da coprire qualsiasi possibile richiesta: da chi si lamenta per aver comprato il modello sbagliato, a chi non sa come farlo funzionare, a chi non capisce l’addebito. Normalmente una ventina di processi coprono tutte le possibilità di interazione uomo-macchina, e se potessimo prevedere ogni possibile caso, potremmo quasi automatizzare il supporto clienti. È fondamentale che la macchina capisca lo stato della persona: felice del prodotto e curiosa su alcune funzionalità, o arrabbiata per qualcosa che non torna? La risposta deve assolutamente tener conto del contesto per essere soddisfacente. L’automazione completa non è possibile, perché i casi d’uso si evolvono di continuo.
Ci sono poi chatbot meno complesse, che hanno il compito di assistere senza essere esperte di una particolare materia, e senza la comprensione piena del contesto. Pensate a Siri che interagisce in modo divertente mentre riceve un vostro comando, o quelle utilizzate in ambito clinico per il supporto a sindromi depressive, o quelle per l’assistenza agli anziani. Qui si inquadra l’uso di Erica, ossia la macchina che riesce a stabilire una relazione emozionale, a ridere e far ridere, o rispondere con una battuta, e fa credere che abbiamo a che fare con una persona.
Infine, le chatbot più semplici, che devono semplicemente obbedire agli ordini della persona, i novelli schiavi4.0. In questo caso è fondamentale la capacità di capire il parlato in modo da accendere le luci giuste, alzare correttamente il termostato, cercare la canzone giusta su internet, come milioni di persone fanno con Alexa tutti i giorni. Alexa deve capire la lingua, gli accenti, il modo di dire e tradurlo correttamente in istruzioni informatiche che vanno ad eseguire il compito richiesto.
I vantaggi delle chatbot che riescono ad interagire in modo quasi umano con la persona sono notevoli: disponibili 24 ore al giorno, parlano più lingue e sanno cosa rispondere e consigliare, ma gli svantaggi vanno tenuti in conto. Da un lato noi umani siamo sempre più impazienti e non riusciamo a prestare attenzione a lungo: quando siamo di fronte ad un robot questo peggiora, perché manca il rapporto sociale. Ciò significa una notevole difficoltà nel creare una chatbot veramente efficace. Dall’altro la chatbot può apprendere solo un campo molto limitato, come il supporto tecnico e commerciale di una linea di prodotti, ma non si avvicina minimamente alla capacità umana di spaziare su diversi domini di sapere.
La conseguenza è quella già vista più volte: occorre pensare a questi strumenti in chiave di supporto al lavoratore, non di sua sostituzione. Pensare di sostituire la persona, in qualsiasi lavoro, dall’operatore di call center, al camionista, all’infermiere o avvocato, significa fallire.