Si salvarono solo gli uomini di qualificata cultura, che combatterono in mezzo a grandi sofferenze. Anche nell’irrefrenabile caos del nostro tempo si presentano pericoli contro la vita e, ancora una volta, sarà una cultura qualificata a difenderci e a suggerirci interpretazioni sensate. “Cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie, ma è la capacità che la nostra mente ha di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi sente la relazione con tutti gli altri esseri (...) Cosicché essere colto, essere filosofo lo può chiunque voglia.” (Antonio Gramsci) La società di massa non vuole cultura, ma svago. (Hannah Arendt). Lo scenario culturale di ieri aveva le caratteristiche della pervasività, dell’uniformità e dell’omologazione, l’odierno ha nuove connotazioni: resta pervasivo ma è eterogeneo e differenziato. L’impatto tecnologico sta per soffocarci: offre eccedenze di possibilità e iperinformazione, moltiplicando opportunità e messaggi e, contemporaneamente, mette a rischio le persone che si trovano in condizioni di vulnerabilità, con un percorso lavorativo precario e instabile e relazioni sociali insicure e fragili. L’analfabetismo tecnologico è un problema complesso da diversi punti di vista: personale, sanitario, economico e politico. Le tecnologie digitali migliorano l’efficienza e l’efficacia dei servizi ma hanno i loro lati oscuri, non sono mai né neutrali né salvifiche e creano resistenze. Viviamo frammenti di realtà nell’indifferenza, con distanza, stanchezza e disillusione. Senza un orientamento e un progetto ci stiamo disperdendo in tante cose vane con la conseguente difficoltà di sintesi individuali e collettive. È riduttivo pensare che siano le tecnologie a determinare gli obiettivi, sono piuttosto fondati e coraggiosi obiettivi a guidare la scelta e l’uso delle tecnologie. Il “compito storico” di questa nuova generazione è quello definire con chiarezza obiettivi meditati, analizzati e forti; di costruire complessità di mondi integrando oggetti informativi e formativi vasti e strutturati. Si tratta di connettere culture diverse, tempi, stili e obiettivi diversi. La cultura emergente è caratterizzata da precisi elementi. L’uomo è indotto a cambiare e l’enfasi del cambiamento fa considerare normale il provvisorio. Tale logica permea i rapporti sociali che non prevedono lunga durata. I detti: “per l’eternità, per sempre, fino alla morte...” sono obsoleti. Fino a ieri alcune scelte sembravano irreversibili, oggi c’è maggior flessibilità, elasticità, mobilità. Ci si concentra sulla vita quotidiana con una progettualità ridotta. Sono in aumento le possibilità di scelta ma non la capacità di scelta.
Esiste una macrosocietà acentrica, come insieme di sistemi autonomi (azienda, politica, scuola, famiglia, chiesa...), che rimbalza anche a livello micro, dove si è perso un centro esistenziale, il senso delle priorità. Prendere decisioni diventa un processo sempre più impegnativo e faticoso perché comporta inevitabilmente rischi e responsabilità. La vita ci pone fisiologicamente di fronte a tantissime situazioni e la selettività delle scelte personali può assumere connotati diversi: può sfociare in progettualità ma, se proviene da soggetti deboli, può sfociare in forme narcisistiche, in egocentrismo ossessivo, in ripiegamenti pericolosi (droga, alcool...). Davanti a questa eccedenza culturale è necessario possedere efficienza, conoscenza di diversi linguaggi e processi di apprendimento, una solida capacità critica per ridurre la complessità, un preciso orientamento strategico di vita. Spesso i giovani si trovano soli ad affrontare questi problemi. I mutamenti vanno conosciuti e governati. Occorrono guide silenziose ed efficaci per formare identità forti, non deboli o caleidoscopiche, capaci di utilizzare il cambiamento come grandiosa opportunità di crescita e non subirlo come tragico destino.