Gentiloni se l’era cavata bene: capigliatura a posto, spuntata e ventilata, con la scriminatura ben centrata; cravatta blu (il nodo poteva essere migliore e non richiedere un paio di sistemazioni in corsa) su vestito blu notte.
Esordio in italiano, con voce che tradiva emozione, un po’ di arsura; e poi l’elegante passaggio a un inglese ben pronunciato e senza finto birignao, quasi forbito. Quindi: andata. Una cinquantina di domande, una trentina fra il tosto e l’insidioso. Buone le risposte, credibili e molto committed – soprattutto, l’affermazione che non tratterà il dossier italiano con favoritismi.
Dopo un po’ di silenzio, una lunga pausa fra le elezioni, il nuovo parlamento e la designazione della nuova Commissione europea, una crisi di governo fra le più stravaganti che ci siamo regalati, riprendo la mia nota da Bruxelles.
E il punto è che “il mondo è ancora in ordine”, che “hanno vinto i buoni” e che anche qualche scalmanato è stato ricondotto con argomentazioni talmente convincenti da rasentare il ricatto, a ingurgitare consistenti porzioni rospi politici – e ancora dovrà ingoiarne nel corso della navigazione politica dei prossimi cinque anni fra Strasburgo e Bruxelles.
I francesi subiscono l’umiliazione del supplemento di indagine sulla loro candidata commissaria Sylvie Goulard con un qualche ombra fra consulenze e affari nel suo passato, ma è più una ripicchetta anti-macroniana che qualche cosa di assolutamente sostanziale, sebbene l’aggressività di molti parlamentari durante l’audizione di Madame Goulard non sia stata trascurabile. E rispondere alternando quattro lingue, italiano compreso, non ha aiutato.
Certo, Gentiloni ha dovuto a sua volta accettare (insieme al premier) un commissariato in seconda e l’asprezza di quella riga e mezza nella sua lettera d’incarico che dice “assicurerai che la spesa di bilancio rappresenti un valore per i contribuenti e segua il principi di sana gestione finanziaria” e quell’altra che gli impone: “di norma, lavorerai sotto la guida del vicepresidente esecutivo per un'Economia che lavora per le persone (Valdis Dombrovskis)” per poi avere una ricompensa quando Ursula von der Leyen gli dice che: “La direzione generale degli Affari economici e finanziari e la direzione generale Fiscalità e unione doganale ti supporteranno nel tuo lavoro; e sarai anche responsabile di Eurostat”.
Truppe, gente che lavora, staff. Più ne hai più conti e vuol dire che non sei senza portafoglio. Certo – l’Italia non ha acchiappato una vicepresidenza esecutiva (quelle tre che contano davvero e che hanno autonomia di indirizzo legislativo), ma neppure una vicepresidenza senza truppe e quindi portafoglio; insomma: decorativa. Il riporto a Dombrovskis andrà testato sul campo, ma i due si conoscono e probabilmente le pozioni amare saranno negoziate e sorbite in camera caritatis e senza raggiungere la ribalta.
Il giovanotto lettone (ha 48 anni) ha fatto anche lui il primo ministro e la confraternita degli ex-premier segue regole precise. Anzi, per molti il giovane post-comunista adorerà trarre ispirazione, esperienza e insegnamenti dal sessantacinquenne ex extraparlamentare di sinistra aristocratica. E c’è già chi rivede il remake de Lo stagista inaspettato (The Intern) con Gentiloni nel ruolo di Robert De Niro.
Così, non per buttarla in caciara, tutta la serie di dilemmi vicepresidenza-si-vicepresidenza-no, voto d’assenso alla von der Leyen per ottenere la presidenza in cambio del commissario pesante, e tutto l’insieme di contorcimenti editoriali che li hanno accompagnati, si sono infine risolti in una cosa dignitosa e sostenibile. Sebbene... Sebbene ci sia un filo di perfidia nella creazione di questa commissione europea che il primo novembre, festa dei santi in attesa di essere gabbati, si insedierà ufficialmente e comincerà a lavorare e legiferare secondo i contenuti delle lettere di missione.
La perfidia sta nell’attribuzione di portafogli in cui bisogna esprimere un alto tasso di adesione al “progetto europeo” a stati membri, governi che possono essere considerati euroscettici o, al minimo, euro-perplessi. I Valori e la trasparenza alla Chechia, per esempio. All’Ungheria le politiche di allargamento dell’Unione e gestione dei rapporti con i paesi vicini. L’agricoltura alla Polonia, portafoglio che richiede alte doti di mediazione e compromesso con la Vecchia Europa comunitaria. I Trasporti alla Romania; altro portafoglio che esige mediazioni senza fine. Innovazione e giovani alla Bulgaria – una sfida.
I tre vicepresidenti esecutivi, Vestager, danese; Dombrovskys, lettone e Timmermans, olandese, più la presidente della Commissione, tedesca rappresentano la decapitazione del ClubMed allontanando gli stati membri “latini” dalla prima cerchia esecutiva. La designazione di uno spagnolo all’incarico di alto rappresentante dell’Unione (il suo ministro degli esteri, un incarico importante ma non chiave nell’execution quotidiana).
Uno spostamento anche concettuale. Un solo paese fondatore (l’Olanda) al top; una connotazione etico-religiosa prevalentemente riformata e molto vicina all’intimo credo rivelato dalla vicepresidente Vestager: “Non sono una fan della religione organizzata: la mia filosofia è credere in Dio e temere la Chiesa”.
Vedremo se basterà per fermare scetticismo e fastidiosa sopportazione delle politiche collettive in molti stati membri e fra strati sempre più variegati di elettori.