Infatti, sul palcoscenico internazionale è impantanato in Ucraina, e sulle spine in Israele. Nel primo caso non riesce a convincere il Congresso a stampare altri $60 miliardi per i fratelli ucraini, nonostante ci dica che resterebbero comunque in America per fare altre fabbriche di armi, dare altro lavoro e spedire più missili. Nel secondo non riesce a frenare l’ira funesta di Bibi Netanyahu, che si difende da Hamas asfaltando Gaza: peccato che vedere bimbi dissanguati non piaccia agli elettori.
In ogni caso il fenomeno è curioso: com’è possibile che tanti economisti ci dicano che è tutto rose e fiori, quando ci paiono cactus irti di spine? Capisco bene l’effetto dell’inflazione: quando pago $110 per quattro pizze d’asporto neanche tanto buone, quando il ristorante dove prima pagavo $50 ora ne lascio $66, quando i prezzi di alberghi ed aerei sono impazziti, e nel frattempo lo stipendio è aumentato di poco, qualcosa non quadra.
Bisogna riconoscere che l’aumento degli stipendi è molto eterogeneo: ottimo per le fasce basse dei lavoratori, minimo per la fascia media, straordinario per i ricconi. In effetti, nella fascia bassa molti sono usciti dalla soglia di povertà ed ora si barcamenano, abbiamo visto che le grandi aziende automotive hanno concesso aumenti vicino al 30%, e la borsa ha di nuovo tirato la volata ai ricchi.
Nel terzo trimestre, il nostro PIL ha fatto +5%, finalmente sorpassando i livelli pre-pandemia, e la ricchezza mediana della popolazione, nel frattempo, è cresciuta del 37%, a $193,000. Nonostante questo chiaro segno di ottima performance, il 70% degli intervistati pensa che le cose vadano peggio, ed imputano a Biden di non aver fatto abbastanza. L’inflazione è scesa al 3%, le previsioni la danno in calo al mitico 2%, e la Fed si prepara ad abbassare i tassi al 4%. In questo grafico vediamo la differenza tra America e resto del mondo: siamo i più ricchi, ed allo stesso tempo quelli che facciamo più la fame.