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La medicina preventiva in America

Una delle differenze che balzano all’occhio quando si arriva in America è la pochezza della medicina preventiva.

- Hai il colesterolo alto. Adesso prenditi 70mg di statine al giorno e ci rivediamo tra un anno.

- Dottore, sembra una dose da cavallo, non sarebbe meglio rivedere la dieta prima di prendere una pastiglia?

Sono arrivato quasi a litigare con il medico prima di capire due differenze fondamentali: qui il dottore riceve una commissione sui medicinali che prescrive, ed ha quindi tutto l’interesse a farlo. Secondo, segue una procedura standard che non dà il minimo peso alla possibilità che il paziente possa mettersi a dieta e cambiare stile di vita. In questo modo ti ritrovi dei bomboloni che continuano a strafogarsi di burger e schifezze immonde, illusi che le due o tre pillole quotidiane gli risolvono il problema. Diventano delle vacche da mungere per l’industria farmaceutica ed ospedaliera, pronti a schiattare appena l’assicurazione va in rosso.

Quando Obama riuscì a far passare, pure in modo annacquato, la revisione della sanità semi-pubblica (Affordable Care Act del 2010, conosciuto come Obamacare), finalmente la prevenzione fu presa seriamente. È intuitivo, ma le campagne di screening tumorale, le vaccinazioni, i controlli periodici di sangue ed urine, da un lato consentono di prendere la malattia agli inizi, e quindi facilitare la cura. Dall’altro consentono di intraprendere miglioramenti dello stile di vita, in modo da ritardare tutta una serie di processi che poi portano al malanno. Lo capiscono tutti, ma la medicina preventiva ha il brutto vizio di non portare denari nelle casse delle aziende sanitarie: un guaio.

Il Covid ha peggiorato la situazione, perché oltre agli strascichi clinici di chi non è guarito completamente, sono aumentati a dismisura problemi psicologici ed abusi di alcol, fumo e droghe, a fronte di un regime di vita ancora più sedentario di prima. Il lavoro da casa, che è tanto comodo nel non esporci al traffico e lasciarci in pantofole tutto il giorno, dal punto di vista sanitario è un problema. Se pensiamo che idealmente non dovremmo star seduti più di quattro ore al giorno, che fino ad otto è rischioso, e che oltre è pericoloso per la nostra salute, è chiaro che prevenire i malanni passa da uno stile di vita abbastanza dinamico.

Ecco che ai 28 milioni di fumatori americani, ora si aggiungono 23 milioni che fanno vaping, in forte aumento dai 15 milioni del 2020. Mentre il 6% della popolazione ha forti problemi di alcolismo, l’americano medio consuma comunque 9.5 litri di alcol l’anno, una quantità eccessiva. Su tutto questo, pure le malattie veneree sono in aumento, ed in questo contesto, pensiamo bene di eliminare gli incentivi alla prevenzione.

Visto che in America non ci vogliamo far mancar niente, dalle guerre in giro per il mondo per difendere i nostri fratelli, ad un flusso di immigranti illegali che non si ferma, ora ci troviamo anche una causa in giudizio che vorrebbe far pagare ogni controllo di medicina preventiva. Parliamo di oltre 150 milioni di cittadini che, di fronte alla necessita’ di pagare, probabilmente salteranno controlli e terapie precoci fino a quando non è ora di andare ospedale per cure pesanti. Due americani su cinque sono pronti ad abbandonare la medicina preventiva, casomai dovessero pagarla. Cosa potrà mai andare storto? I CEO farmaceutici, assicurativi ed ospedalieri gongolano, l’aspettativa di vita si riduce.

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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite