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Xi in America

La scorsa settimana Xi è venuto in California, per incontri al vertice con Biden e la cerchia dei CEO che contano. La situazione geopolitica è tesa: il Presidente cinese dice che dobbiamo lavorare in armonia, il nostro risponde che lui è un dittatore, Blinken è in evidente apprensione per ogni sparata del suo capo. Almeno hanno concordato di continuare telefonarsi per appianare le grane, e si son messi facilmente d’accordo sul mettere un freno alle droghe sintetiche.

Entrambe i Presidenti hanno abbassato i toni rispetto al passato, perché gli interessi economici sono tali e tanti da non poter rischiare boicottaggi, e men che meno una guerra vera e propria. Quest’anno, per la prima volta da 33 anni, l’investimento estero in Cina è calato bruscamente. Sicuramente l’isolamento Covid e le bastonate date al settore tecnologico cinese (pensiamo ad Alibaba) hanno spaventato molte multinazionali. A questa paura si sono aggiunte la tensione su Taiwan, i blocchi al commercio di chip ed altri prodotti tecnologici, insomma: fare affari in Cina è diventata dura.

Anche il fatto che la Cina abbia tenuto bassi i tassi di interesse, per aiutare specialmente il settore delle costruzioni domestiche, ha portato ad effetti sorprendenti: lo yuan ha sorpassato l’euro come moneta di scambio ed investimento internazionale, riaccendendo timori di sconquasso. BRICS e paesi del sud del mondo parlano spesso di de-dollarizzazione: fino ad ora c’è stata una forte de-eurorizzazione, mentre la nostra moneta al contrario è cresciuta ancora.

Passato lo scoglio delle quattro ore di incontro tra i due Presidenti, a dispetto di quello che vorrebbe il protocollo diplomatico, Xi è andato a cena con i 400 CEO che contano in America: da Tim Cook di Apple, Elon Musk, i capi di Blackstone, BlackRock, Pfizer e tanti altri ancora che hanno bisogno di produrre e vendere in Cina, senza troppi vincoli. Il tono è stato molto diverso rispetto al primo incontro: ci ha raccontato le sue esperienze da studente in America, la passione per il basket, l’importanza di scambiarsi panda tra gli zoo dell’uno e dell’altro paese, e disseminato di perle di saggezza millenaria, quelle che leggiamo nei fortune cookie dei ristoranti cinesi.

I pochi che si son seduti a tavola con lui han sganciato $40.000, mentre gli altri un modestissimo conto da $2.000 per stare a cena col Presidente cinese. Sembrava la ripetizione della gita a Canossa di qualche mese fa, quando questi stessi CEO ed alcuni europei andarono a supplicare le grazie di Xi. Tutto fa pensare che lo scontro geopolitico sia poco serio, che ad entrambi i Paesi vada meglio commerciare e crescere assieme, e se poi serve una parvenza di difesa dei diritti, di supremazia morale, di aria rarefatta per tener tranquille le masse, vada bene a tutti.

Biden s’è cacciato in due vicoli scivolosi con l’Ucraina ed Israele, e l’economia domestica è l’unica cosa che lo tiene a galla: litigare troppo con la Cina potrebbe causare danni più concreti della temporanea sicumera di aver resistito al dittatore.


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