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L'ammissione all'università

In America circa 14 milioni di studenti frequentano corsi universitari di primo livello, per il titolo di Bachelor, e tre milioni quelli di secondo, per quello di Masters. Sono anche tre i milioni gli studenti che finiscono le scuole superiori, ed il 62% di loro punta all’ammissione all’università, la prova più stressante della loro giovane vita.

Quella selezione inizia proprio ora, quando due milioni di ragazzi iniziano a completare questionari infiniti, chiedono a professori, allenatori e datori di lavoro di scrivere lettere di raccomandazione, e sperano di essere invitati per un colloquio dalle loro università preferite. Solo il 68% di loro riesce ad iscriversi ad un corso universitario, gli altri dovranno riprovarci l’anno prossimo o rinunciare. Il problema è che le università migliori hanno percentuali di accettazione del 1.7%, le peggiori del 100%, quindi molti degli ammessi finiscono in istituzioni la cui laurea non vale molto.

Quando un genitore europeo accompagna i figli a visitare questi luoghi eterei di sapere e ricerca, rimane stupito dalla campagna marketing cui viene sottoposto insieme al pupo. Il messaggio principale è la probabilità di impiego dopo la laurea, e lo stipendio medio per quel corso specifico. A tutti gli effetti ti viene presentato un investimento: sgancia $40-60.000 dollari l’anno, ed il tuo ragazzo ha il 98% di probabilità di guadagnare $77.500 dollari come primo stipendio. Il fatto che abbia imparato a ragionare, a comportarsi professionalmente, a scrivere in modo logico ed accurato o a cavarsela nel mondo, passa tutto in cavalleria.

L’aspetto economico è ulteriore fonte di stress per i ragazzi. Finora hanno fatto lavoretti alle superiori: chi al supermercato, chi il bagnino, chi come stagista in azienda, ed hanno guadagnato con molta fatica qualche migliaio di dollari. Pensare di spenderne $40.000 per i corsi ed almeno $15.000 per vitto ed alloggio, giustamente, li sconvolge. Ipotizzare di indebitarsi per poi continuare a pagare rate per i prossimi 25 anni, è un incubo. E’ abituale incontrare cinquantenni che stanno ancora finendo di pagare le rate.

Ciò che è peggio, negli ultimi anni il differenziale tra il reddito medio del laureato e del diplomato, s’è ridotto al punto da non rendere più conveniente quattro anni in un’università o in un corso di laurea mediocri. A questo contribuiscono i CEO con la felpa, su fino al mitico Elon Musk, che invitano i ragazzi a studiare corsi pratici su internet e non sprecare quattro anni in accademia.

Alla Generazione Z l’ardua scelta: continuare a scommettere su una formazione superiore per attrezzarsi meglio ad un mondo in continuo cambiamento, o evitare di indebitare sé stessi e famiglia e prepararsi ad un percorso professionale pieno di incertezze? Proprio la rapidità ed imprevedibilità del cambiamento, e delle nuove professioni emergenti, consiglierebbe di spendere ancora qualche anno per fare fondamenta importanti sul comando della lingua, della logica, e delle altre discipline di base che sostengono lo sviluppo tecnologico, come fisica o matematica.

In questo istante i ragazzi ricchi sono ancora indirizzati verso l’università, purtroppo chi non rientra in quel segmento è spinto a rinunciare, ampliando ancora la differenza tra ricchi e poveri nel paese. Se i ragazzi di oggi affrontano questa selezione con i nervi a fior di pelle, ne han tutte le sacrosante ragioni.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro