Dopo la teoria, chiedo agli studenti di andare in strada a vendere qualcosa ad un completo sconosciuto, e chiudiamo il corso con due esercitazioni a squadre, dove premio chi vince. Ogni anno discutiamo dei dubbi sulla possibilità di mentire, di infrangere le regole, per riuscire a prevalere sull’avversario: legge, logica e morale si intrecciano come spaghetti da districare. Quest’anno la guerra in Ucraina ha dato molti spunti di riflessione.
Cresciamo con un’idea della gestione del conflitto basata su reciprocità e consenso: se fai una cosa a me io ti restituisco il favore, e ci diamo delle regole più o meno sofisticate che mediamente rispettiamo per il vivere civile. I confini non sono precisi, perché quando mi procuri un danno io reagisco secondo quella che è la mia percezione dello stesso, quasi sempre diversa dalla tua idea. Mentre reciprocità e consenso sono chiaramente definiti e controllati nello sport, nella vita di tutti i giorni o sul teatro geopolitico internazionale, è diverso. Quando entri su un ring, sei disposto a dare e prender dei pugni, e c’è un arbitro a garanzia che non ci saranno mosse proibite: quello è sport, non una battaglia. Meglio non confonderli.
In guerra reciprocità e consenso non esistono, e di conseguenza descrivere la guerra come giusta o criminale, o lamentarsi delle menzogne e delle scorrettezze, è totalmente inutile. Per chi volesse approfondire con Clausewitz (qui) o Musashi (qui) la prova di quanto sopra.
Quando sentiamo parlare di aiuti umanitari o militari in nome di una nobile guerra, che difende l’oppresso dall’aggressore, siamo naturalmente portati a pensare in termini di reciprocità e consenso. Ci sembra cosa buona e giusta spedire missili all’Ucraina perché possano difendersi, ma non vediamo che quello significa l’uccisione di altri ragazzi russi. Da un lato aiutiamo gli ucraini a resistere, ma nel prolungamento della guerra ci sono più sofferenze e distruzione per tutti. La guerra è, per sua stessa definizione, annientamento della controparte e male assoluto.
Pensare ad aumentare la spesa per la difesa, tra l’altro a scapito di sanità, educazione e supporto ai poveri, è particolarmente sbagliato. Pensare di limitare l’accesso alle informazioni, la libertà d’espressione e peggio che mai ostracizzare la popolazione “nemica”, è sempre sbagliato. Pensare che una resa di fronte all’invasione russa sia ingiusta o codarda, conta poco, perché la vita va sempre protetta. Se non ascoltiamo Papa Francesco, riflettiamo almeno sulla natura della guerra e vediamo che la raccomandazione è sempre la stessa: non farla, o fermarla il prima possibile. Quando smettiamo di trattare il prossimo come noi stessi rinunciando alla reciprocità, quando smettiamo di rispettare le più basilari regole di vita sociale, distruggiamo tutto: non esiste una guerra giusta.
La Pace si fonda su reciprocità e consenso delle regole del vivere comune, il contrario della guerra. Sta a noi, non solo a Putin, Zelensky e compagnia, fermare la guerra e tornare al tavolo negoziale.