IL Cameo


La psicanalisi e la guerra

Seguendo la linea editoriale di Grantorino Libri e di Zafferano.news ho scritto, e entro aprile uscirà, sia in versione cartacea che digitale, un “Libroincipit” dal titolo La Terza Guerra Mondiale di Gordon Comstock.

Fa parte di una trilogia di libri distopici in purezza. Il primo (La pestilenza è finita. Sono tutti morti, quasi) ha riguardato una lettura distopica appunto, della triade Virus-Vaccino-Pass, con la creazione di un personaggio distopico per eccellenza, la Variante Omega del Virus di Wuhan. Omega, in una notte di luna piena, impazza sul mondo e uccide 7 miliardi di persone, salvando meno del 10% dell’umanità. Lo fa però seguendo un criterio: vengono salvate solo le persone perbene.

Il secondo ha come personaggio (unico) un vecchissimo analista di strategie politico-militari, certo Gordon Comstock, che nel 2033, al compimento dei suoi 99 anni, assiste allo scoppio della Terza Guerra mondiale da lui prevista, e che proprio quel giorno inizia e finisce. Sarà l’ultima guerra mondiale perché dopo allora un solo leader di un solo popolo comanderà, e tutti gli altri saranno suoi schiavi. A quel punto, la Storia finisce sul serio, con un finale diverso rispetto a quello di Francis Fukuyama.

Di norma, quando finisci di scrivere un libro ti resta molto materiale preparatorio che non hai usato. Questo Cameo ne utilizza uno spicchio, riferito alla Seconda Guerra mondiale, oltretutto poco noto.

Mi è servito per un parallelo con un episodio secondario della Seconda Guerra mondiale, risalente a uno scoop giornalistico di una dozzina d’anni fa del settimanale svizzero Le Matin Dimance. Questa storia dimostra però cosa significhi avere degli autentici leader al vertice del potere politico-militare, fondamentale quando c’è una guerra mondiale. Diciamocelo, questa in Ucraina è una guerra regionale, che solo i talk, per ragioni di bottega, cercano di far percepire come mondiale.

Siamo nel 1943. Allen Dulles (capo del Office of Strategic Service, un tempo la CIA si chiamava appunto OSS) va a Zurigo, su mandato di Franklin Delano Roosevelt, e ha una serie di incontri con l’allora settantenne Carl Gustav Jung, discepolo e poi antagonista di Sigmund Freud. Lo ingaggia come spia, assegnandogli il codice 488 (sic!). Per la prima volta nelle operazioni di spionaggio, una grande potenza si avvale dei profili psicologici dei leader avversari, tracciati dal più grande psicoanalista vivente.

Come ovvio, le analisi di Jung sulle tendenze psicotiche di Adolf Hitler (di cui si parlava allora, come oggi si parla di Vladimir Putin) sono di altissima qualità e, in parallelo, disegna pure i profili di Benito Mussolini e di Iosif Stalin. Questi vengono subito liquidati da Jung come “due capi clan, emersi sulla scena politica perché più forti e più solidi dei loro avversari interni”. In pratica, due bulli, spacciati per statisti. Di norma ogni popolo è responsabile del leader che si sceglie o che accetta, senza rivoltarsi.

Sottile e sofisticato invece il profilo di Hitler. Scrive Jung: “… una sorta di medico taumaturgo, non forte in quanto tale, ma per il potere che il popolo tedesco proiettava su di lui. Hitler è uno specchio dell’incoscienza tedesca, più un mago che un politico, perché è in grado di captare in anticipo, quello che il popolo tedesco pensa del suo destino come nazione, e che vuole essere guidato a perseguire”. E’ evidente come questa sia anche un’analisi impietosa sul popolo tedesco, che voleva scientemente essere governato da uno di tal fatta.

Anni dopo Allen Dulles confesserà che il generale Dwight Eisenhower si basò sulle analisi finali di Jung per individuare la strategia migliore per convincere i cittadini tedeschi all’inevitabile sconfitta e ad arrendersi. Infatti, Jung previde, nel 1943, quello che sarebbe successo poi nel 1945, cioè il gran finale nel Führerbunker di Berlino, con queste parole profetiche: “Hitler farà ricorso, fino alla fine, a tutti gli strumenti e ai metodi di cui dispone, anche quelli più disperati. Potrebbe chiudere il suo percorso con il suicidio”.

Andò proprio così.

Che tristezza osservare, di fronte a decisioni terribili per il destino dell’umanità, la superficialità dei nostri attuali leader, solo comunicazione markettaro-elettorale. Auguriamoci che quando entreranno nella stanza dei bottoni, per cercare di bloccare l’eventuale escalation della guerra ucraina, non siano succubi dell’emotività e della superficialità dei social, degli influencer di regime, della stampa mainstream che li supporta.

Mi pare ovvio che aumentino sempre più i cittadini normali, quelli senza la puzza e l’anello al naso, che pretendono di essere rispettati nelle loro idee, e che hanno deciso di fidarsi soltanto di un vecchio signore ultraottantenne, sempre vestito di bianco, venuto da molto lontano.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro