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Joe Biden e i vaccini

Ai primi di maggio Joe Biden ha smosso le acque della politica internazionale da gran comico, dichiarando la volontà di condividere la proprietà intellettuale sui vaccini: rendiamo pubbliche le ricette, in modo che qualsiasi azienda possa produrre le preziose fiale. Cosa potrebbe mai andar storto? Abbiamo già visto aziende automobilistiche ed elettroniche...

... fallire nella produzione delle mascherine, figurati a preparare dei sieri.

A dimostrazione della caratura dei politici di rango, dalla contessa Ursula al buon Papa, passando per Macron e Draghi, tutti rapidi nell’applaudire questa scelta coraggiosa e democratica. Vacciniamo sette miliardi e mezzo di persone, tempo di girare gli ingredienti nel calderone a fuoco lento, e siam pronti. Per fortuna c’è Merkel, che ha il senso dell’umorismo del marmo: ha spiegato a tutti che era una boutade, simpatica, ma improponibile.

In America abbiamo 60 milioni di dosi Astrazeneca a magazzino, non possono essere usate perché mancano le autorizzazioni, e non possono nemmeno esser regalate a chi invece inietterebbe qualsiasi cosa pur di fermare il contagio. Abbiamo anche il controllo dei mezzi di produzione, delle tecnologie e delle materie prime, perché prima Trump ed ora Biden hanno invocato la legge che si applica nei momenti di crisi: priorità alla protezione del popolo americano.

Quanto sia comica la situazione è presto detto. A voler pagare anche $20 a fiala, consegnata ad ognuno degli abitanti sulla faccia della terra, a star larghi spenderemmo $150 miliardi. Con il patrimonio di dollari che abbiam stampato in USA, seimila miliardi, questi 150 sono una mancia. Un nulla se pure lo pagassimo solo noi. Se poi contiamo che centinaia di milioni sono già stati vaccinati e che alcuni paesi preferirebbero far da soli col loro siero, la cifra sarebbe irrisoria.

Questa fuffa geopolitica piace assai agli americani, che si convincono una volta di più che prima Trump, ed ora Biden, han fatto bene a dire “prima l’America”. Ogni paese si vaccini i suoi e poi, quando ci ritroviamo con centinaia di milioni di fiale inutilizzate, solo allora spargiamole a pioggia per ribadire la leadership del paese. Da Bruxelles si sentono in sottofondo lamentele stridule, a dire che l’Unione Europea ha donato tantissimi vaccini, mentre l’America non ne ha ancora scucito uno. Qui ridiamo, chiedendoci se sia meglio ridere o compatire.

Biden ne approfitta per andar dritto, ed annunciare che entro il 4 di luglio almeno il 70% della popolazione residente avrà ricevuto una dose, un aumento del 14% rispetto ad oggi. La percentuale di dubbiosi resta al 24%, tra chi preferisce aspettare l’autunno e chi proprio non si fida di iniettarsi un qualcosa di sperimentale. Anche vaccinando ragazzi e bambini non arriveremo alla copertura richiesta da Fauci per ottenere l’immunità di massa: probabilmente finiremo sul 80%. E poi ogni anno ci faremo il richiamo, e tra qualche anno ci sarà un nuovo virus ed inventeremo un nuovo vaccino. Che problema c’è?

Uno dei problemi è che dire alla gente che c’è solidarietà tra i popoli è bello e romantico, ma falso. Fidarsi di un altro paese, amico ed alleato, che ti dia una mano nel momento del bisogno, un illusione. Se poi quei paesi son 28 condomini litigiosi, che manco si accordano sul diametro dei piselli e l’alcol nel vino, auguri.


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite