Sull’Auto ormai i giochi sono fatti, lo schema UE è legge, la data 2035 è ufficiale. Il dossier auto è chiuso, sbagliato polemizzare. Certo si può ragionare sul processo di “transizione”.
Sono convinto che la transizione verso un mondo de-carbonizzato, e in particolare l’elettrificazione dell’auto, sarà un passaggio culturalmente affascinate. Mi ricorda il film più amato della mia adolescenza, Ombre Rosse, di John Ford. Raccontava un viaggio di un gruppo di passeggeri dall’Arizona al New Mexico su una diligenza, attraversando il territorio degli Apache di Geronimo, in rivolta. Superato il guado di Lee’s Ferry, quando pensavano di avercela fatta, vengono attaccati. Il mitico inseguimento si conclude quando, finite le munizioni, la salvezza si staglia all’orizzonte: è il mitico “Sesto Cavalleria”, i “Nostri”.
Ho interpellato un celebre ex CEO del settore. Uno dei pochi che hanno chiaro il posizionamento dell’oggetto “auto” in una futura società governata con le modalità del “signoraggio medioevale” (altro modo per dire CEO capitalism), ove la libertà individuale di mobilità dei cittadini non pare essere più una priorità. Henry Ford pagava i suoi operai molto più del mercato, e nel 1926 dette loro la “settimana corta” (sic!), affinché potessero comprarsi il mitico modello T (solo nero, perché la vernice nera si asciugava prima?), che loro stessi costruivano, ed essere così liberi di spostarsi nel fine settimana. Nel Novecento i lavoratori dell’Auto avevano un buon welfare e possedevano sia l’auto personale, sia la casa di proprietà, di più, potevano far studiare i figli. Sarà ancora possibile?
EU ha stabilito che dal 2035 tutte le auto ivi prodotte o importate dovranno essere esclusivamente full electric. Per la prima volta nella storia del business, un’Entità sovranazionale ha imposto una “Normativa” sulle emissioni (zero emissioni) e una data (2035), pur sapendo che nessuna altra “Tecnologia”, a parte l’elettrico, a quella data sarebbe stata disponibile. Nel secolo scorso, prima la California, poi l'UE, seguirono un processo invece molto più articolato, condiviso (ogni “X” anni venivano approvati i vari “Euro”, il numero progressivo indicava vincoli via via più stringenti, tendenti a raggiungere lo zero emissioni), attraverso obiettivi congiunti “normatori-costruttori”, per salvaguardare al contempo business e posti di lavoro. Una forma dolce di auto-transizione.
Alcuni pensavano infatti, e pensano tuttora (lo stesso super europeista Romano Prodi si è così espresso), che fosse possibile con altre “Tecnologie”, specie con altri “Combustibili” (biocarburanti, sintetici, idrogeno), arrivare ugualmente ad emissioni zero, come per l’elettrico. Certo, non entro il 2035, ma questa sarebbe stata una transizione a costo quasi zero. Poi sarebbe stato il Mercato a scegliere con quali “Tecnologie” realizzarlo. Non è stato così. La decisione è stata politica, con una componente sexy, tipica di quelli che sembrano voler dividere il mondo in due Zoo separati: le ZTL per i Benestanti, le Riserve simil-indiane per la Plebe.
Quando a cavallo fra Ottocento-Novecento si doveva sostituire la mobilità da “carrozza con cavallo” a “carrozza motorizzata”, le élite di allora poterono scegliere fra le tre “Tecnologie” in quel momento disponibili: motori a vapore (all'epoca la più avanzata), motori elettrici con batterie al piombo, uso del motore endotermico da poco inventato, nelle due versioni: ciclo Otto a benzina e ciclo Diesel a gasolio.
Sarebbe stato il Mercato, come poi fu, dopo un decennio di concorrenza spietata, a scegliere il motore endotermico, versione benzina e diesel. All’inizio del Novecento, nacque Detroit Electric Car, il suo fondatore, William Anderson, malgrado la collaborazione del mitico Thomas Edison, che realizzò per lui la prima batteria ad accumulo nickel-ferro (prezzo 600 $, sic!), che portò la percorrenza senza ricarica da 130 a 340 km, con una velocità in città di 32 km/ora (esattamente il limite che oggi i Sindaci targati “woke” impongono alle città ZTL style) purtroppo fallì. Il Mercato fece una scelta diversa.
Una notazione personale. Avevo vent’anni quando, operaio da un paio d’anni all’Officina 5 di Mirafiori, fui trasferito alla Progettazione Motori. Eravamo una decina, tutti giovanissimi, incontrammo Dante Giacosa, un mito, era il papà della Topolino e di tutte le auto Fiat fino al 1970. Nel pistolotto di benvenuto disse una frase che mi appuntai “L’Auto è concepita per rendere il più libero possibile il cliente, si tratta di un pianale con quattro ruote, un motore, un serbatoio”. Sottolineò l’aspetto strategico del “serbatoio”, terminale strategico di una filiera semplice: greggio-raffinazione-distributore.
Sono convinto che ci saranno molte possibilità di business, come sempre è successo, quando la Politica e l’Alta Burocrazia degli Stati si vogliono sostituire al Mercato. Semplicemente perché, essendo culturalmente ignoranti (nell’accezione che ignorano), si ritirano nel più bieco e confortevole dirigismo, mentre il Mercato troverebbe sempre, con approssimazioni progressive, l’equilibrio ottimale costi-tempi-benefici.
Vediamo i “numeri”. Se prendiamo UE, e assumiamo come ipotesi quelle prevalenti fra i Costruttori, abbiamo questi dati (grezzi). Nel 2022 c’erano in UE 250 milioni di auto circolanti, di cui elettriche meno di 5 milioni. Supponiamo che il mercato rimanga costante, e l’elettrico cresca nel modo importante previsto. Nel 2030 ci potrebbero essere 60 milioni di elettriche e 190 milioni di convenzionale. Se dal 2030 si vendessero solo più elettriche, nel 2035, a parità di mercato, ci saranno 110 milioni di elettrico e 140 milioni di convenzionale. Andando avanti allo stesso ritmo entro il 2050 saremo a emissioni zero per l’intero parco, quindi la transizione sarebbe conclusa. Con quali costi (mostruosi) lo sapremo vivendo.
Questa ipotesi dà per scontato che si abbiano le capacità per alimentare di energia, sia le auto elettriche solo con rinnovabili, sia quelle convenzionali con idrocarburi. Poi, poco sappiamo delle Gen Z, e men che meno della Gen Alpha (i nati dal 2010), che parrebbero molto meno interessati all’oggetto auto, e quindi potrebbero spostare in avanti la data. Più si sposta in avanti la fine della transizione, più i costi per lo Stato si fanno implacabili.
E’ facile prevedere che la cosiddetta “transizione dall’endotermico all’elettrico” si trasformi in un colossale business per alcune aziende, stante la gran quantità di quattrini messi a disposizione (infiniti giochini sono possibili con “incentivi-disincentivi” su temi altamente sensibili, quali licenziamenti, investimenti a fondo perduto, tassazioni agevolate, etc.) mentre le cosiddette lobby europee banchetteranno. Le “transizioni” pilotate dalla politica dalla burocrazia, e non dal Mercato, sono da sempre terreno di intrallazzi di ogni tipo.
Nel contempo le Corporation dell’Auto modificheranno il loro posizionamento strategico, le loro aree di focalizzazione ottimale prodotti/mercati, e, di conseguenza, la loro organizzazione. Probabilmente si articoleranno in più divisioni prodotto/mercato, cercando di trasferire agli Stati gli enormi costi di ristrutturazione e le gigantesche implicazioni sociali che dovranno affrontare.
Ci saranno ovvie tensioni sociali da parte di lavoratori e di clienti che o perderanno il lavoro o non potranno sostenere le spese per il passaggio alla mobilità elettrica, o entrambi. E’ probabile che i Partiti di opposizione cavalcheranno il malcontento, dissociandosi dalle scelte fatte. Un esempio per tutti, i celebri gilets jaunes pochi anni fa arrivarono quasi alla rivolta popolare, perché Emmanuel Macron aveva aumentato di 6 centesimi (sic!) il prezzo del gasolio, destinandone i ricavi (sic!) a sovvenzionare gli acquirenti di auto elettriche dei XVI° Arrondissement.
Gli “sconfitti” saranno gli “Stati” e le “Classi deboli” (clienti e lavoratori del settore e dell’indotto), essendo noto che per il CEO capitalism, il termine “Transizione” significa trasferire risorse o perdita di diritti (in questo caso perdere una mobilità personale libera, com’è oggi) dai ceti deboli a quelli al potere.
Una notazione a margine. Un recente numero del Financial Times riporta un grafico ove sono indicate le distanze dei diversi Paesi dalla produzione elettrica rinnovabile per il fabbisogno totale, e quanto spenderanno gli Stati Uniti per ricuperare il gap. Che significa? Che le auto saranno sì tutte elettriche, ma l’energia per farle funzionare non sarà tutta rinnovabile (sic!), e per molto tempo. Se così fosse, sarebbe politicamente inaccettabile avere, a costi economici e sociali altissimi, solo auto elettriche, ma non avere poi sufficiente energia da rinnovabili, e doversi avvalere dell’ignobile energia, derivante da idrocarburi o carbone.
Ma non basta, fingiamo che gli altri previsti “perdenti” della nostra transizione verso l’elettrico, i “petrolieri brutti e cattivi”, ingoino il rospo senza reagire. Come minimo, faranno una Super Opec, e così compenseranno i minori ricavi con una maggiorazione dei prezzi degli idrocarburi, per mantenere intonsi i profitti. Nel frattempo, per molti anni dovremo mantenere una costosa doppia rete, stazioni di servizio di carburanti convenzionali e colonnine per l’elettrico.
Per il trentennio a venire, pur essendo i giochi fatti, ci sarà una grande confusione in cielo fra interessi politico-economici-culturali contrastanti. Così saranno diverse le politiche degli incentivi, a seconda che il Paese possegga, non solo l’azionariato, ma pure la gestione operativa di una propria industria dell’Auto.
Mi rifaccio la domanda: “Sappiamo già che i “vincenti” saranno le attuali leadership proprietarie che condurranno la transizione, che i “perdenti” saranno le solite classi deboli. Ma queste come reagiranno? E i Partiti di opposizione che faranno? Se finiremo le munizioni ci salverà il Sesto Cavalleria?”
Lo scopriremo vivendo. Prosit!