...un poeta. Per me ogni libro ha una sua iniziazione alla vita: prima lo tengo in mano per creare un rapporto, lo apro, lo chiudo, lo tasto, lo palpeggio, lo annuso. Mi comporto come faccio con il lime (con il palmo della mano lo premo e lo faccio rotolare sul marmo per snervarlo, per facilitare l’estrazione al meglio del succo, indispensabile per fare il guacamole). Detto brutalmente, prima faccio petting con lui, lo sfoglio senza leggere nulla, voglio che ci conosciamo meglio, ci spogliamo lentamente, insieme. Poi mi metto a leggere, senza saltare nulla, guai, gli mancherei di rispetto.
Questa volta ho deciso di leggere prima la recensione di Francesco Mannoni pubblicata dal Corriere del Ticino. Ci ho trovato uno dei tanti versi che mi hanno fatto amare Baudelaire ..l’impero familiare delle tenebre future”. E’ tratto dalla poesia Zingari in viaggio che io associo ai miei nonni paterni, migranti per fame in Francia a inizio Novecento (dove nascerà mio papà). E’ stata la modernità tradita, “quella che ci aveva promesso più libertà, più uguaglianza, e una vita più bella”. Si è avverata? No, se non, in modo esagerato, per un’infima minoranza (il solo, mitico 1%).
Diceva Baudelaire che già allora la modernità andava nella direzione contraria all’uomo vivo, e il progresso tecnico (noi ci riempiamo la bocca del termine “innovazione”) è tale solo se grazie ad esso siamo più felici. Come si può essere felici quando il mondo è nelle mani di un pugno di sociopatici in felpa e di duemila gerarchi cinesi, che costringono i nostri figli e nipoti a tenere sempre la testa bassa per osservare idiozie su uno schermo ben colorato? O usare ridicole App dalle prestazioni straordinarie usate per gestire il nulla. E per noi adulti vivere solo grazie a una logistica selvaggia che, in tempi incredibilmente bassi, distribuisce schifezze?
Che bello se Charles rinascesse oggi, scoprirebbe che non è cambiato nulla, allora il voto popolare aveva consacrato il Secondo Impero di Napoleone III, così come oggi sta consacrando i languidi euroburocrati di Ursula von der Leyen. Così come allora, oggi se sei un vero intellettuale apòta non puoi che vivere da proscritto, sei sempre in odore di deportazione. Baudelaire capisce (lui è un genio) che Napoleone III ha creato una capillare dittatura mediatica, per questo odia i direttori dei giornali, i giornalisti che hanno tradito, manipolando le informazioni. Esattamente come i loro pronipoti fanno oggi, obbligandoci a “inginocchiarci” o a “sfilare” o a “mangiare involtini primavera” o a votare come tanti piccoli idioti.
Ho cominciato a rileggerlo. E’ un libro da maneggiare con cura, un libro fragile, com’era fragile lui, Charles, spesso in costanza di depressione, rivoluzionario sì ma al contempo reazionario. Come dovrebbe essere oggi un vero leader all’opposizione di questo mondo intellettualmente osceno: essere al contempo sia reazionario sia rivoluzionario, ma prima di tutto poeta. I filosofi, i politici, i CEO sono intellettualmente corruttibili, i poeti no.
Perché il Napoleone III di oggi, cioè il CEO capitalism, è un nemico assoluto, non puoi abbatterlo con una rivolta organizzata, forse solo con un popolo che d’improvviso si ribella, pur sapendo di essere “senza capi, senza grida, senza bandiere”. Umanamente ci hanno ridotti a una massa di straccioni che, a mani nude su una tastiera, vorrebbero alterare l’ordine costituito, senza uscire da casa, applicando ridicole App. Ma non sanno che, se anche dovessero riuscirci, non saranno poi in grado di sopravvivere, non essendo più persone ma consumatori. Gli staccherebbero internet, le App, le carte di credito, e loro pur di riavere il loro oppio digitale, si inginocchierebbero. E’ solo questione di tempo, vedrete, si inginocchieranno anche ai taleban. Sono dei colti vigliacchi. Prosit.