IL Cameo


Un giovane pieno di sogni e il Paradigma Arbasino

Un giovane pieno di sogni e il Paradigma Arbasino

Nel 2019 ho avuto molti incontri in licei, università, politecnici con giovani studenti, portando il contributo di un certo vissuto e relative riflessioni. La mia carriera professionale e umana si è svolta seguendo il percorso indicato dal mitico Paradigma Arbasino.

Quello che riassume la vita in tre mosse di chi, per censo, status famigliare, ascensore sociale, nasce o diventa (il mio caso) élite, e che poi, se supera una certa selezione, entra nella classe dominante, per poi, se del caso, essere assunto in cielo. Dovete sapere che quand’io ero un giovane adulto pieno di sogni l’ascensore sociale era sempre in moto, su e giù, su e giù. Me ne avvalsi con gioia. Poi, trent’anni fa, il nascente Ceo capitalism lo bloccò fra il piano terra e il primo piano, sostenendo che era in manutenzione. Falso, era semplicemente diventato un ascensore per pochi intimi: lor signori e i loro cari.

Per mia fortuna il vecchio ascensore mi aveva già portato al piano attico dove mi venne data la tessera di appartenenza al Paradigma Arbasino (giovane promessa, soliti stronzi, venerati maestri). Fui subito considerato come una “giovane promessa”, pur essendo un banale ex operaio Fiat. Nel 1975, per un insieme di casualità e di meriti, fui promosso, di colpo, direttore personale e organizzazione della sub holding Fiat Componenti (oltre 40.000 dipendenti sparsi in una ventina di aziende tecnologicamente avanzate), poi, dopo un paio d’anni, addirittura Ceo di alcune di queste. Entrai così, trionfante, nel club dei “soliti stronzi” raggiungendo vette impensate. Dopo vent’anni di onorato servizio in questo mondo fui licenziato, così mi vidi preclusa l’opportunità di entrare in un club ove pareti, pensieri, comportamenti, erano in pura radica inglese; qua stazionavano, chiacchierando, fino allo sfinimento e fino alla morte (non si poteva dire ma erano a diversi stadi di rincoglionimento), i “venerati maestri”.

Ho scelto, seppur vecchio, di uscire dal club dei “soliti stronzi” e tornare alla casella iniziale di “giovane promessa”, seppur spelacchiata. Confesso di trovarmi molto bene in questa quarta vita, al punto di aver fondato per i giovani, mi auguro sognatori come me allora e oggi, (millenial e Gen. Z), Zafferano news. Un luogo ove si può riflettere, parlare, scrivere, di tutto e di tutti, purché ci sia sempre il massimo rispetto e considerazione degli altri. La qualità principe di noi “zafferaniani” è di non pretendere di possedere alcuna verità, quindi non abbiamo da “vendere” a chicchessia nessun modello culturale, economico, politico. Soprattutto siamo attrezzati naturalmente per non prendere sul serio, in primis noi, poi lor signori. In particolare, non ci piacciono le fake truth, ora di moda.

Torniamo indietro di 45 anni. Ero stato appena promosso fra i “soliti stronzi”, subito ebbi il privilegio, fondamentale per la mia futura formazione di “stronzo internazionale”, di passare un’intera giornata al Quartier Generale europeo (Bruxelles) dell’ITT. Questa era allora l’azienda tecnologicamente più avanzata e più potente del mondo (come Amazon e Google oggi), si diceva che il suo CEO, Harold Genen (un Jeff Bezos in versione ragioniere) come potere e come spregiudicatezza se la battesse con il Presidente degli Stati Uniti (si sussurrava che pianificasse pure colpi di stato nei paesi dell’America latina). Genen non riconosceva i fusi orari locali, in qualsiasi città del mondo facesse una riunione ITT pretendeva il rispetto dell’ora di New York: quel giorno la riunione cominciò alle 15 ora di Bruxelles, ma tutti dovevano fingere che fossero le 9, come indicato sul grande orologio in sala. Prototipo di manager sociopatico, come sono oggi quelli di Silicon Valley.

Quella giornata fu uno dei momenti più alti della mia formazione professionale e umana. Dopo, non fui più lo stesso. Di colpo, avevo capito come funzionava sia il business sia il management, e le linee guida per esercitare una leadership consapevole. Genen mi insegnò il significato profondo del concetto di leadership. Incominciai a lavorarci, a scarnificarlo, per giungere, anni dopo, a una sintesi, solo mia: Un vero leader è per metà “eroe”, per metà “stronzo”. Nella stessa giornata costui poteva passare dallo stato solido allo stato gassoso, però senza mai perdere di vista l’obiettivo finale a cui tendere. Avere cioè una “visione binaria” del mondo. In questo quarto di secolo pochi i leader che abbiano avuto un mix equilibrato “eroe-stronzo”. Tutti si atteggiano, parlano, si vestono da “eroi”, in realtà di fronte ai grandi problemi si rivelano parolai, incapaci di decidere, spesso ignobili buffoni, tutti carenti di execution (infatti parlano solo di scenari). Molti sono inetti, pure come stronzi.

Che fare? Se hai potere esecutivo in azienda, anche modesto, comincia a separare “fame” e “avidità” e fare gli interessi degli stakeholder, sapendo che fra questi ci sono pure gli azionisti. Solo così, da vecchio, sarai orgoglioso di te stesso. Come lo sono io, ormai sicuro che mai sarò un (ignobile) “venerato maestro”.

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In questo numero hanno scritto:

Filippo Baggiani (Torino): commerciale settore moda, scrittore allo stato quantico
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro