Vita d'artista


Gnoli

“Ieri finalmente siamo tornati ad andare al mare e siamo stati ricompensati: una cernia di sette chili. Qui ormai mi considerano di più come un pescatore che dipinge, che un pittore che pesca” scrive in una lettera alla madre Domenico Gnoli (Roma 1933-New York 1970), nel 1966. Si era trasferito da qualche anno a Deyà, sull’isola di Mallorca, in un casa piuttosto...

... spartana, assieme alla moglie Yanniki Vu, anch’ella pittrice; casa dove vivrà fino alla fine della sua vita, spezzata all’età di 37 anni. Gnoli era ormai un artista piuttosto conosciuto, a Parigi come a New York, assai meno in Italia. In pieno periodo di arte concettuale Gnoli proponeva infatti una pittura potente, che difficilmente poteva trovare spazio nel nostro Paese, preso dalla “furia iconoclastica antipittura, che vorrebbe rompere tutti i ponti con il passato …” come ebbe a scrivere nel catalogo generale del Premio Marzotto, sempre nello stesso anno.

“Sono metafisico nella misura in cui ricerco una pittura non eloquente, immobile e di atmosfera, che si nutre di situazioni statiche. Non sono metafisico perché non ho mai cercato di mettere in scena, di fabbricare un’immagine. Mi servo sempre di dati semplici, non voglio aggiungere o sottrarre nulla. Non ho neppure avuto mai voglia di deformare: io isolo e rappresento”. Parole chiare, che io condivido profondamente. Protagonista delle sue opere è l’oggetto comune, appunto, isolato dal suo abituale contesto e che “ ci appare il testimone più inquietante di questa nostra solitudine, senza più ricorso di ideologie e di certezze”.

La scrittura accompagnerà come un filo rosso tutta la sua parabola esistenziale e creativa, soprattutto nella dimensione privata, sotto forma di lettere alla madre e agli amici, ma anche attraverso intense dichiarazioni poetiche e persino di prove narrative, come ad esempio la favola “Orestes or the Art of Smiling” da lui stesso illustrata. Enfant prodige a Parigi negli anni ’50 della scenografia internazionale, e illustratore, per Gnoli il vero scopo della sua esistenza è, da subito, l’affermazione della propria vocazione pittorica.

“Dipingo come mi pare senza più preoccuparmi della cultura del secolo e delle mie responsabilità verso di essa e allo stesso modo intendo vivere: libero e fedele solo a quel tanto o poco di vero che mi sento adesso”. Finalmente vediamo debitamente riconosciuto il suo eccezionale lavoro pittorico attraverso una grande retrospettiva alla Fondazione Prada a Milano, aperta da poco: la mostra ha forse qualche carenza nell’allestimento, ma la sua pittura ne esce sempre e comunque vittoriosa.


© Riproduzione riservata.
Zafferano

Zafferano è un settimanale on line.

Se ti abboni ogni sabato riceverai Zafferano via mail.
L'abbonamento è gratuito (e lo sarà sempre).

In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro