... ti reca
e tu chi fai? La moglie il pargoletto teco conduci
ad ingrossare
la fiumana dell'Umanità assetata di
giustizia - di quella giustizia conculcata fin qui
e che ora miraggio lontano splende»
Questo è il poema scritto da Pelizza da Volpedo a margine di “Fiumana dell’Umanità”, seconda delle tre versioni che prelude al grande ultimo dipinto dal titolo “ Il Quarto Stato” ora al Museo del Novecento a Milano. Insoddisfatto del risultato della tela ma soprattutto alla luce del brutale massacro del generale Bava-Beccaris a Milano, nel 1898 Pelizza decise di riprendere per la terza volta quello che lui stesso definì “ il più grande manifesto che il proletariato italiano possa vantare tra l’Otto e il Novecento”. Ora più che la fiumana umana ad essere rappresentata erano gli “uomini del lavoro” nella lotta per il diritto universale. Pelizza intendeva celebrare l’imporsi della classe operaia, il quarto stato appunto, a fianco del ceto borghese.
Il quadro imponente ( 293x545 cm) presenta tre figure in primo piano, due uomini e una donna ( i cui tratti sono quelli della moglie Teresa ) a piedi nudi e un bimbo nudo in braccio, che invita con un gesto i manifestanti a seguirla. Alla sua destra un uomo che con la giacca appoggiata sulla spalla, procede con disinvoltura, forte di sé e della compattezza del corteo. In secondo piano, come fosse una quinta, i manifestanti si dispongono sul piano frontale, rivolgendo lo sguardo in varie direzioni, come fossero in controllo del presente. Pur nell’onda divisionista, rimane classico. Il loro incedere verso lo spettatore non è violento, ma lento e sicuro, e suggerisce una sensazione di invincibilità. Oggi è un’opera notissima, amata dai media, dal cinema.
Quando il quadro fu mostrato per la prima volta alla Quadriennale di Torino nel 1902, e con grande difficoltà a Roma nel 1907, presso la Promotrice delle Belle Arti, non ottenne alcun consenso. Pelizza da Volpedo morì suicida quello stesso anno.