... crescere meglio le aziende che hanno investito maggiori risorse nel dotare i robot di intelligenza artificiale, piuttosto che nel progettare motori o congegni innovativi. La bostoniana Locus Robotics ha raccolto oltre $300 milioni di finanziamento per un robottino molto semplice, che banalmente porta cassetti da un operatore ad un altro. La grande innovazione di questa azienda sta nell’intelligenza data al robot e la sua integrazione con l’uomo, un binomio vincente.
A livello della singola macchina, questa sente dove sono gli operatori nel magazzino ed ottimizza la loro produttività nel prendere e depositare oggetti con la stessa logica dell’ape operaia con il polline: arrivando con un carico solo quando serve. A livello di impianto, questo è possibile perché tutti i robot sanno dove sono, e comunicano con una regia centrale fatta di esperti di logistica dell’azienda, che in ogni momento possono intervenire per accelerare alcune operazioni, fare manutenzione ai robot o per far strada in caso di traffico.
A livello commerciale, Locus non vende macchine, ma un servizio. Il cliente, a seconda delle necessità di flussi logistici in un determinato periodo (settimana o mese), può dotarsi di cinque o cinquecento robot, pagando solo per l’utilizzo delle macchine che portano i loro prodotti da una scatola ad un’altra. Il cliente non si preoccupa minimamente di come son fatti e quanti sono i robot, paga per ogni loro missione e basta. Ed i registi Locus si prendono cura del corretto bilanciamento del carico di lavoro degli operatori di magazzino, perché senza magazzinieri non vedrebbero un soldo. Questo porta a delle condizioni lavorative molto migliori di altre aziende che han comprato le macchine e le sfruttano al massimo, fregandosene che l’operatore debba correre tutto il giorno senza poter andare in bagno.
Questo è un rapporto nuovo, e dai risultati apparentemente vincente, tra fornitore di macchina digitale, azienda cliente e suoi lavoratori. I manager non devono più pensare al cespite che han pagato, a come ammortizzarlo quanto prima, facendolo correre più velocemente possibile seppur a scapito di chi lavora in fabbrica. Devono semplicemente spiegare al loro fornitore di logistica quali sono le previsioni di volumi, del numero di prodotti e casse da trattare, e lasciare che con il loro sistema di controllo remoto e con i robot portati in magazzino facciano il proprio mestiere. Infine il magazziniere, che non deve più correre come un matto dietro alle macchine, ma si trova i robot con un minimo di sale in zucca che vengono da lui solo quando pronto, lavora meglio.
Il dialogo tra uomo e robot in questo caso è semplicissimo: un sensore Bluetooth dice dov’è la persona e cosa sta facendo in quell’istante. La macchina si regola di conseguenza e quando si presenta dal magazziniere chiede solo la conferma dell’operazione su un tablet. Questo robot costa $5 all’ora, e come un’ape operaia non fa altro che portar scatole, vuote o piene di prodotti, da un magazziniere all’altro, e gliele porta solo quando loro possono occuparsene. Quando è la macchina che fa quanto serve alla persona, e non viceversa, probabilmente ci troviamo di fronte ad un buon esempio di innovazione digitale.