Vita d'artista


Sangue e arte

C’è un sacco di sangue nella storia dell’arte: la presenza del sangue come simbolo di vita e di morte è frequente in tutta l’iconografia cristiana, dalle crocefissioni in avanti. Zampilla soprattutto nel nord Europa, dove esce a fiotti, ma anche nel Rinascimento italiano non si scherza, se pensiamo ai tanti San Sebastiano trafitti dalle frecce alle decollazioni del San Giovanni Battista; il sangue versato è garanzia di fede. Del resto il rapporto con la...

... propria dimensione corporea, sangue incluso, per i nostri avi era molto più stretto e immediato. In realtà le trafitture, questa volte degli aghi, dominano anche i tg del nostro presente, in maniera maniacale anche se più asettica, da quando è iniziata la campagna vaccinale. Il sangue ancora oggi, come si vede, è protagonista (assente).

Il quadro più stupefacente e macabro in tal senso è a mio parere “Giuditta e Oloferne” di Caravaggio, del 1604. Il sangue sprizza dal collo della vittima con violenza, imbrattando il bianco del lenzuolo. Il quadro è come se fosse un’agghiacciante istantanea in cui il volto di Oloferne viene fissato, mentre durante l’esecuzione, col capo riverso, guarda atterrito e incredulo per l’ultima volta la sua bella giustiziera. La drammaticità della scena, come sempre in Caravaggio, è esaltata dall’intensità della luce che arriva dall’alto e dal fondo buio e impenetrabile, su cui stacca il rosso del sangue e il bianco delle camicia e del lenzuolo. Nel mondo rinascimentale l’episodio era spesso utilizzato come metafora del contrasto tra lussuria e continenza, superbia e humilitas.

Nel 1957 invece Hermann Nitsch, artista e performer, massimo esponente dell’Azionismo viennese, ritorna a celebrare il sangue ( questa volta di animali) con le sue Azioni del “Orgien Mysterien Theater” il teatro delle orge e dei misteri, una sorta di opera d’arte totale in cui il sangue viene utilizzato per la sua componente simbolica, in quanto salvifico e rigenerante. Di questi misteri, cerimoniali paragonabili alle orge pagane e ai riti dionisiaci, rimangono poi come testimonianza i materiali, lenzuoli o vestiti che rimandano all’iconografia cristiana del martirio. Divengono poi grandi quadri in cui il rosso dominante e scurito è proprio quello del sangue.

Ma è un artista inglese della Young British Art, Mark Quinn, che da anni conduce una ricerca sulla conservazione e il mantenimento delle forme viventi, che fa un passo oltre negli anni Novanta. L’opera che infatti lo ha reso celebre è il suo autoritratto a tutto tondo, realizzato con 4,5 litri del suo proprio sangue e versato in un calco in silicone, da mantenere in un frigorifero sotto zero per consentirne la conservazione. A suo dire è una riflessione sull’invecchiamento, e sulla esistenza umana intesa nella sua  dimensione più cruda. Appare invece come un’opera tradizionale, una sorta di maschera funeraria, ma dall’inquietante color rosso fuoco. Ma se qualcuno staccasse la spina?

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite