...curatissime. Scrive il librettista Giacosa che “la cucina di Sant’Agata meriterebbe l’onore delle scene, tanto è pittoresca nella sua grandezza” perché Verdi “è un artista e come tale considera, e con ragione, il pranzo quale opera d’arte”.
È noto che il Maestro, genio della musica ma anche imprenditore agricolo attento ed esperto di cucina della tradizione, fosse esigente non solo con i musicisti ma anche con il personale di casa. Si dice che ai cuochi facesse le prove come ai cantanti, sempre alla ricerca di uno chef all’altezza delle sue aspettative. Nelle lettere agli amici non è raro che si affronti l’argomento e ricorrono le frasi “ho bisogno di un cuoco”, “lo voglio capace, molto capace”. In una lettera del 1875 all’editore Ricordi, il compositore lamenta “Voglio un cuoco che sia un cuoco e non un brucia pentole!". La musica cambia quando in villa prende la direzione della cucina Ermelinda Berni, energica cuoca capace di “eseguire” anche le ricette scritte dal Maestro, estasiare gli ospiti e il ricettario della quale, contenente i piatti preferiti da Verdi, è consultato ancora oggi.
Sono in parecchi a sostenere che la musica verdiana abbondi di riferimenti a cibo, banchetti e brindisi anche per la ragione, che di questi tempi chiameremmo operazione di marketing, di promuovere i propri prodotti e quelli del territorio. Siamo a centoventi anni dalla morte del grande compositore e oltre alla sua produzione artistica si continuano a esaminare i suoi carteggi e c’è sempre interesse per il Verdi privato e casalingo.
La sua ricetta di cucina più nota è il risotto allo zafferano (con midollo di bue e sottili fette di tartufo). In attesa della cottura, un brindisi con l’ascolto dell’ultimo finale composto da Verdi ci sta più che bene: “Un coro e terminiam la scena. E poi con Falstaff, tutti andiamo a cena”.