E’ un viaggio nella memoria proiettato nel futuro. Si parte da un dato oggettivo. Se, un tempo, l’alimentazione degli italiani era poco più che di sopravvivenza (polenta al nord, ceci e fave al sud) con il boom economico gusti e consumi si sono evoluti sino ad arrotolarsi su sé stessi complice il boom mediatico di cuochi, sedicenti tali e programmi che fanno più il verso al Grande Fratello che non a trasmissioni che hanno segnato l’epoca.
A partire da quel fantastico viaggio tra sapori e tradizioni svolto da Mario Soldati nel 1957 e poi, a seguire, lo straordinario duo composto da Gino Veronelli e Ave Ninchi che hanno raccontato ai telespettatori golosi quante meraviglie potesse offrire il Bel Paese, anche a tavola, una volta fuori dall’uscio di casa. “Qual è il modo più semplice di viaggiare? Ma quello di mangiare! Di praticare la cucina del paese dove si viaggia”, Mario Soldati dixit. Dalla trattoria di tradizione con la mamma ai fornelli e il papà eclettico tra sala e cantina, si è arrivati a “freddi mausolei del nutrimento disegnati da architetti nati al polo nord”.
Troppi cuochi hanno abbandonato i fornelli per rincorrere fama e vanità sotto i riflettori mediatici che possono consegnare la vetrina di un tempo fuggente, senza memoria. “Vogliamo un piatto che ci consegni una pietanza, con posate che non siano arnesi da scasso disegnati da uno stilista”. Esilarante il percorso tra memoria, esperienza vissuta e disincantato sorridere della realtà come ci racconta Arrigo Cipriani. Eppure, con un po’ più si saggezza, potremmo “trasformare il cibo nel nostro oro, al pari di arte e paesaggio”.
Le pagine scorrono divertenti e fanno riflettere senza essere pedanti con una seconda parte in cui, per piacevole coerenza, gli autori condividono i loro locali del cuore in quel Nordest dalle mille virtù (di ostesse e trattori) e golose scoperte. Perché, a tavola, c’est plus facile. Si legge ad esempio che, a Murano, il volto iconico che vi sorride al tavolo è stato in gioventù sodale, sul palcoscenico, di Cesco Baseggio; oppure sulla pedemontana del prosecco si recava in pellegrinaggio al focolare della tosta titolare l’apostolo della cucina molecolare mondiale, un certo Ferran Adrià, “perché è qui che si può gustare la vera cucina italiana”. E se lo diceva lui...