IL Digitale


Il Design Generativo

Ogni anno tengo un corso ai dottorandi del Politecnico di Torino, e son sempre affascinato da quanto diversamente ragionano ingegneri, architetti e medici. Queste differenze partono da molti anni prima della scelta del corso universitario, ma sicuramente passare cinque o sei anni su materie e problemi diversi accentua queste differenze nel profondo.

Specialmente, vedo differenze sullo sviluppo del pensiero innovativo. Se chiedo come pensano di progettare e costruire un femore, o lavorano in squadra o faticano ad arrivare ad un risultato come questo.


Ma ognuno di loro, appena vede questa foto, capisce molte cose al volo. Le nostre ossa sono miracoli di architettura ed ingegneria, quindi meglio non sostituirle, ma nel caso di patologie o traumi che costringano a questa alternativa, di cosa abbiamo bisogno? Ci serve un qualcosa di robusto a sufficienza da sostenere lo scheletro in camminate e corse, una costruzione leggera e morbida abbastanza da non rovinare le articolazioni ed ossa con cui è in contatto, di un materiale che non causi reazioni infiammative, fatta in modo che possa inserirsi tra vene, nervi e muscoli.

Guardando da vicino quest’osso ci rendiamo conto di una progettazione veramente d’avanguardia, e dobbiamo ringraziare gli architetti. Liberi dai vincoli della progettazione meccanica e da quelli che gli strumenti CAD hanno imposto nel corso degli anni, non si sono posti il problema di disegnare e poi analizzare quanto fatto per scegliere la soluzione migliore. Lasciando che fosse un computer ad occuparsi della simulazione degli effetti di un disegno, e concentrandosi sull’ideazione di nuove forme in multiple iterazoini, han fatto tombola.

L’idea di fondo del design generativo è che sia un computer a generare tantissime opzioni, e che il designer in carne ed ossa faccia prima a selezionare una tra tante scelte che essere lui stesso a progettare la soluzione ideale. Questo passo tuttavia non è sufficiente per parlare di design generativo, perché la macchina non fà altro che riprodurre o modificare leggermente quello che ha già in memoria. È quindi importante che, per funzionare correttamente, il computer pensi solo agli obiettivi da raggiungere senza vincoli di quanto fatto in passato, e che il design continui ad interagire.

Il vero nocciolo infatti, per introdurre l’elemento di creatività che ci serve per innovare, è abbandonare il processo lineare dell’ingegnere che pensa di partire da specifiche, per poi generare opzioni e infine scegliere la soluzione ottimale. Il design è necessariamente caotico ed iterativo, inefficiente perché basato su continue revisioni. Quindi per far bene un progetto, come il femore in questione, quello che conta veramente è l’interfaccia tra macchina e designer, quella che non porta ad una scelta rapida tra mille opzioni, ma ad un continuo rivedere e ricombinare le opzioni per trovare quella migliore solo quando si è veramente arrivati in fondo.

Per provare a progettare e costruire un femore artificiale che si avvicini alle prestazioni del nostro osso, lo strumento deve portare assieme competenze molto diverse: da quelle meccaniche del calcolo strutturale, a quelle chimiche e fisiche dei composti utilizzati, a quelle mediche dell’anatomia e fisiologia dell’articolazione. Il computer funziona solo nel momento in cui interagisce correttamente col designer dando la possibilità di creare e valutare forme e funzioni nuove.


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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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