Cacciatori di aquiloni


Nel mondo digitale guai non avere competenze informatiche

Fino al 2007 in Italia c’era un gruppo bancario da 15000 dipendenti, che utilizzava come sistema operativo Linux. I programmi per i suoi computer, venivano creati dalle persone che lavoravano nel comparto IT, partendo dalle istanze dei vari settori e delle filiali per il buon andamento di tutta l’azienda.

Venivano fatti dei test, e se tutto andava bene, questi programmi venivano installati sui computer di tutti i dipendenti.

In questo modo l’azienda aveva ogni anno dei i costi certi, ovvero quelli legati al personale, mentre invece, se avesse dovuto acquistare software da fornitori, o aver bisogno di consulenza, come facevano le altre banche, i costi sarebbero aumentati ogni anno.

A seguito di una successiva fusione, per scelte non tecniche ma politiche, per scarsa preparazione dei manager e per poca lungimiranza, si optò per il sistema operativo e i programmi del sistema bancario, facendo di fatto lievitare anno per anno i costi come scrivevo sopra.

Vi chiederete perché ho iniziato in questo modo il mio articolo. Semplicemente perché sostengo da sempre, insieme a persone molto più preparate e capaci di me, che ognuno di noi dovrebbe avere un minimo di competenze informatiche, perché in questo modo si ha la possibilità di ottenere la conoscenza che consente di avere il libero arbitrio; si è liberi di acquistare un pc, un telefono, una smart tv, senza essere influenzati dal venditore di turno, risparmiando, fra l’altro, centinaia di euro.

Provate a traslare tutto questo su un’azienda, provate a immaginare: se tutti i manager avessero la consapevolezza che avendo un minimo di competenze informatiche, oltre ad essere d’esempio (che ricordo parte sempre dall’alto) nei confronti dei dipendenti, facendo loro capire che la formazione è fondamentale, permetterebbero di far comprendere quanti venditori di fumo ci sono pronti ad approfittarsene per erodere le risorse della propria azienda.

Molto spesso le scelte aziendali, per quello che riguarda la parte informatica, vengono delegate ai tecnici, i quali hanno una visione dei problemi solo da un punto di vista puramente tecnico, appunto, e in molti casi per convenienza non prendono in considerazione altri fattori nell’acquisto di programmi e macchinari.

Se invece anche la parte apicale avesse un minimo di conoscenza, di fronte alla scelta di due software, uno proprietario e l’altro open source, a parità di performance e prestazioni, potrebbe tranquillamente optare per il programma libero, facendo risparmiare, proporzionalmente alla grandezza dell’azienda, molte migliaia di euro. Diventerebbe inoltre più sicura e stabile, riducendo al minimo il rischio di attacchi informatici, perdita o sottrazione di dati.

Sarebbe anche un modo, a mio avviso, di valutare le reali capacità dei manager. Perché in questi ultimi dieci anni ci si rivolge troppo spesso alle società di consulenza? È sempre necessario? Ci sono alternative? Quanto deve durare una consulenza all’interno di una società?

Se posso permettermi un paragone: è meglio dare un pesce al giorno a una persona, rendendola sempre dipendente da te, o è meglio insegnarle a pescare?

Nell’informatica è la stessa cosa: è meglio che un’azienda continui ad acquistare programmi da ditte esterne, legandosi mani e piedi o è meglio usare programmi open source e free software investendo in formazione, valorizzando il territorio?

Potete già intuire quale sia la mia risposta.

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Zafferano

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Marco Cobianchi (Milano): Ceo FormatLab
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