Lui è’ uno di quegl’impeccabili figli d’Albione con il polsino stondato in controtono sulla camicia e passaporto belga quale profilassi antibrexit in tasca. Abbiamo un patto solido: nel tempo di una p’tite pression, una “birretta”, lui ha diritto a tre domande a cui sono impegnato a rispondere con il massimo della chiarezza e senza ghirigori. E viceversa: tre domande a cui lui mi risponde con trasparente dettaglio. Ci serve per tenerci reciprocamente ahead of the curve, un passo avanti a molti altri, certo non tutti; ma a saperla un po’ più lunga della media.
In un mio post (Zafferano 11 maggio 2019) raccontavo di un influente sulla Commissione Europea che a una cena affermava che arriverà il momento di tassare le emissioni sulla carne rossa e di maiale? Praticamente ci siamo: la macchina si è messa in movimento.
Frans Timmermans, olandese e socialista, è il vicepresidente esecutivo della Commissione per il New Green Deal, colui che dovrà pianificare e implementare la rivoluzione ecologica europea a vasto raggio e che sarà presentata entro i primi 100 giorni del mandato operativo della Commissione von der Leyen. Intanto, lui ha lasciato crescere la barba, che portava corta, al punto da diventare un sosia di Carlin Petrini, gran sacerdote del lento cibo. Per questo, forse, il filone del Green Deal che coinvolgerà l’agroalimentare e le filiere connesse è stato già definito la “futura direttiva Slow Food”.
Il compito è chiaro: Timmermans coordinerà il lavoro connesso all'economia circolare e alla nuova strategia “Dalla Fattoria alla Forchetta” (giuro: è il nome sui documenti ufficiali) per gli alimenti sostenibili. Questo coprirà ogni passaggio delle filiere alimentari dalla produzione al consumo, prestando attenzione a informazioni date ai consumatori, sicurezza dei cibi, salute degli animali e delle piante, pesca e settore agroalimentare.
E la carne, mi dice a metà birretta il ricco collega lobbista, fa la sua parte. Non fatico a credergli. Le centinaia di semafori brussellesi che mostravano sovrapposto alla luce rossa uno stencil con le parole STOP MEAT (basta carne) e alla luce verde un tassativo GO VEGAN (scegliete vegano) nascono da una sua idea. Sono stati visibili per mesi; e molti ancora lo sono a un anno di distanza. Tempo medio di permanenza a un rosso in questa città, almeno 35 secondi. Un tempo lunghissimo per chi attraversa strade e incroci nelle vie del quartiere delle istituzioni europee oppure in molte zone residenziali scelte con cura.
Nella topografia dei percorsi dalla fattoria alla forchetta albergano principalmente iniziative rigide e restrittive per cercare alternative sostenibili ai pesticidi; provvedimenti in connessione con leggi, disposizioni e sentenze relative a nuove tecnologie per la riproduzione animale e l’allevamento; la trasformazione delle procedure di informazione dei consumatori relativamente agli alimenti e infine le misure per ridurre gli sprechi di prodotti dell’agricoltura e dell’industria agroalimentare in genere. Il tutto, beninteso, in tempi stretti, poiché il relativo white paper, libro bianco è atteso per la primavera prossima.
Definizione da manuale: i libri bianchi della Commissione europea sono documenti contenenti proposte di azione in un settore specifico. Lo scopo di un libro bianco è di avviare un dibattito con l'opinione pubblica, le parti interessate, il Parlamento europeo e il Consiglio al fine di giungere a un consenso politico.
Traduzione: un periodo che durerà da due anni e mezzo a tre-quattro in cui industria, lobbisti, ONG, partiti politici, scateneranno di tutto per far prevalere la loro visione e difendere i loro interessi e influire su quello che si profila essere un articolato “pacchetto” legislativo (oltre a fattorie, forchette e cibo ci sarà molto altro: emissioni, efficienza energetica energie rinnovabili, plastica, imballaggi e chi più ne ha...).
Stiamo sull’arrosto e sul suo fumo rivelatore. Le potenti associazioni tedesche dei produttori e dell’intera filiera della “economia della carne hanno cominciato qualche mese fa già a passare messaggi per riequilibrare il dibattito, sbilanciato a favore dei no-meat. Culmine, a metà novembre, un articolo a tutta pagina in apertura del dorso Natura e Scienza della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Foto di un prestigioso taglio da arrosto, come quelli che si venderanno nonostante tutto a man salva in prossimità del Natale. Titolo: Il macello sulla carne rossa. Contenuto: mangiarne meno è ok, ma non è così certo che faccia male, moderazione e misura sono il correttivo, un po’ di incertezza scientifica, una serie di studi discutibili, altri più credibili, eccetera... Raccomandazione a grandi tratti: vediamo di non esagerare. Mi sembra, comunque, lo stesso percorso delle prime campagne sul fumo degli anni Settanta.
Con, dall’altra parte dell’Oceano, una serie di titoli azionari sotto osservazione dei fondi d’investimento e dei rapaci investitori in innovazione spinta. Beyond Meat è forse il più noto: origine vegetale per prodotti che rassomigliano ed evocano salcicce e bistecche con sapori non dissimili, costanti nel tempo. Il pubblico: l’evoluzione rapida delle tribù di vegani meno integralisti, i flexitariani, che alternano prodotti no-meat con concessioni alla carne e al no-vegan. Una categoria che assumerà dimensioni di mercato notevoli: in dieci anni il 40% della “carne” che consumeremo non sarà a base animale.
Nel mondo, già oggi, un mercato da poco più di 12 miliardi di dollari – e siamo all’ìinizio. Beyond Meat è anche la società che ha creato l’alternativa a burger e salcicce che hanno inondato USA e Canada. Il concetto è già sbarca in Europpa e sta arrivando in Italia, dove si è già oltre i primi test alla cieca sui consumatori di pane&polpetta.
E’ un fatto acclarato che, se ancora la gran parte dei consumatrori vede nella carne la maggiore fonte di proteine, l’interesse nelle cosiddette “blended proteins” proteine miste, aumenta esponenzialmente. In USA, il 70% dei consumatori dei burger di Beyond Meat è anche (ancora) consumatore di carne vera. Tuttavia, la spinta verso il cibo sostenibile è acuta.
Per esempio, Kellog, il re dei corn flakes, produce e vende oggi quasi 50 milioni di chili di faux-meat, carne falsa, fra burger, simil-pollo e salcicce. Beyond Meat, riferisce un analista canadese su una newsletter specializzata in investimenti innovativi, è oggi valutata 64 volte il suo fatturato (rifletta, Signor CEO...). Se lo stesso criterio venisse applicato a Kellog per le sue vendite di faux-meat, questo ramo di attività sarebbe valutato 29 miliardi di dollari, grossomodo il 50% in più dell’attuale capitalizzazione di borsa. Come ai bei tempi della bolla .com!
Infine, Impossible Foods produce dal primo agosto i burger per Burger King e sta crescendo esponenzialmente con valutazioni che hanno superato già i due miliardi di dollari e le hanno permesso di raccogliere in pochi giorni 750 milioni di dollari per finanziare questa fase di sviluppo. Garanzie? Non tanto che fra gli investitori figurino Serena Williams o Bill Gates, ma il fatto che nei 59 Burger King dove è stato offerto come test l’Impossible Whopper, il traffico di clienti è aumentato del 18,5%.
Una spinta poderosa che arriverà con proporzioni simili anche qui in Europa; probabilmente in forma meno aggressiva, ma che si profila di lunga durata. “Per questo occorre infilare nella direttiva Slow Food ampio spazio di manovra per la faux-meat e le alternative a base di proteine miste”. dice lui.
E’ come per Uber, Amazon, o i droni giocattolo e semiprofessionali: un settore che esplode senza regolazione e quando le autorità si svegliano, i mercati e il terreno di sviluppo sono ormai conquistati e diventa faticoso normare, legiferare. Soprattutto con aziende globali. Lui parla spedito con il bicchiere ormai vuoto e dice: “Perché, vedi – quando ci sono in aria sei milioni di droni in poche settimane, cosa vuoi fare? inventarti uno standard prescrittivo? Impossibile”.
E’ il mio turno e gli chiedo se lavori già per Beyond Meat o Impossible Foods. Guarda nel fondo del bicchiere con la faccia di Marylin disegnata a tratti bianchi, rifiata; e mi dice: “E’ la quarta. È la quarta domanda, non è nei patti che ti debba una risposta”.