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Charlie Kirk, in memoriam

Quando leggerete questo articolo non ne potrete più di sentir parlare di Charlie Kirk, quindi mi scuso per aggiungere questo pezzettino, ma visto quanto si legge sui media delle élites, serve un commento inutile.

Charlie frequentava strade e campus universitari dove si sedeva a dibattere con i passanti dei vari temi caldi della nostra società: dal problema del woke e della repressione della libertà  d’espressione, alla protezione di minoranze come i transgender, all’aborto, al diritto di avere armi nonostante le stragi quasi quotidiane. Aveva iniziato meno che ventenne, è morto a trentun anni, troppo giovane.

Esperto della retorica che ci viene da buonanima di Aristotele, usava bene etos, patos e logos, facendo attenzione a separare religione, morale, emozioni, legge e logica. Questo ovviamente lo portava ad usare metafore ed iperboli, provocando i partecipanti in modo abrasivo, per farne arrabbiare alcuni e divertire gli altri. Secondo me avrebbe fatto meglio a dibattere a quel modo con adulti più capaci e preparati dei ragazzi; va bene insegnare ai giovani, ma umiliarli in pubblico è un boomerang.

Ironia della sorte, è stato freddato da un proiettile alla carotide sparato proprio da un ragazzo di 22 anni come ne abbiamo milioni, cresciuti fin da piccoli sparando a bersagli, uccellini e cervi. Doppia ironia, perché proprio nel momento dello sparo, Charlie stava sostenendo il diritto ad avere le armi, che secondo lui valeva lo scotto di perdere inutilmente persone innocenti. Guarda il karma dove arriva. Non sappiamo se l’omicida fosse stato deriso pubblicamente da Kirk in uno dei tanti dibattiti universitari, ma non sarebbe stupefacente.

Charlie oggi odierebbe chi vuole la pena di morte per il ragazzo, dipingendolo come estremista di sinistra o di destra, cattivissimo che merita solo la fucilazione, un diavolo sceso in terra. Lo odierebbe perché ha speso anni e corso innumerevoli rischi per difendere e promuovere la libertà di espressione, che significa poter dire ed ascoltare, poter scrivere e leggere anche le peggiori scemenze, anche gli insulti più schifosi, anche la totale mancanza di gusto, anche tutto quanto è crasso e supino, senza metter le mani sulla controparte.

La libertà d’espressione è il fondamento della società americana, ed a mio modestissimo parere lo deve essere di qualsiasi nazione creda nella democrazia: è un diritto fondamentale della persona, secondo solo a quello di avere un tetto sulla testa ed un piatto in tavola. Gli americani lo sanno bene, ed è bassa la percentuale di estremisti che giustifica la violenza per reprimere idee e valori diversi dai propri: le stime recenti parlano di 8%, che son sempre 27 milioni di incivili in casa nostra.

E qui viene il problema: in America abbiamo 500 milioni di armi legalmente registrate, proprio come il fucile dell’assassino di Charlie, dell’altro che ha ammazzato due bimbi a messa, dell’altro ancora che ha ucciso una mia ex-collega al bowling, in una lista senza fine e senza senso. Qui perdiamo 47.000 persone ogni anno a causa delle armi: buona parte son suicidi, altra parte sono criminali incalliti, ma sono sempre troppi questi lupi solitari, insospettabili bravi ragazzi fino al giorno prima, diavoli schifosi il momento dopo lo sparo. Una trasformazione impossibile, quella che in un istante ti rende un demonio.

Anche su questo punto Charlie sbagliava: se ti metto un cellulare in mano, è facile che tu telefoni. Se ti metto un fucile in mano, è facile che tu faccia del male a te stesso o al prossimo: è così semplice, è logica senza appello. Puoi raccontarmi tutte le ragioni che hanno portato al secondo emendamento, di tutte le considerazioni morali o religiose che vuoi, ma poi ti sparano, e muori. Ne valeva veramente la pena?

La retorica è uno strumento potente, affinato in 2500 anni di studi e pratica, ma convincere è cosa ben diversa dal manipolare, e tutta diversa dall’umiliare chi la pensa diversamente. Per un punto, Martin perse la cappa, Charlie la vita.

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