Un milione di persone partecipa a questa manifestazione nel quartiere di South Boston, su un percorso di circa cinque chilometri, consumando una quantità di birra, whiskey e cibarie ipercaloriche da non credere. È la festa della comunità irlandese, che celebra sia il Santo patrono sia la messa in fuga dell’esercito inglese il 17 marzo 1776.
Vi assicuro che nel milione di persone sudate, con cornamuse, trombette, vestiti e svestiti in tutti i modi, una buona quantità è ben brilla, ed è inutile dire che la nostra parata è più grande e caciarona di quella che fanno in Irlanda. Ci vestiamo tutti di verde, da semplici magliette e cappellini ai costumi d’epoca, e proviamo a ripensare al significato di San Patrizio e della cacciata degli inglesi.
Il Santo porta il cristianesimo in Irlanda nel quinto secolo dopo Cristo, ed è il patrono del paese almeno dal 1600. La festa bostoniana è principalmente una dichiarazione di identità ibrida, quella tipica dei migranti: si brinda alla libertà dall’oppressore inglese, si spera in un futuro migliore per l’Irlanda e per noi. Al contrario della celebrazione d’oltreoceano, decisamente più religiosa e sobria, qui si mette l’accento sull’immigrazione, sui sacrifici fatti dalle generazioni precedenti e sulla necessita’ di accoglierne di nuove.
Ovviamente anche altre comunità, come quella italiana e cinese, festeggiano con parate nei loro quartieri, accogliendo anche in quel caso tutti i festaioli disponibili, ma nulla di paragonabile a questa massa di persone. Anche per loro il tema del sacrificio di lasciare il proprio paese per cercare fortuna in questo, dover imparare una lingua e costumi nuovi, perdere di vista amici e parenti, è cruciale.
E’ un tema caldo in questi giorni, perché negli ultimi tre anni ci sono entrati in casa sette milioni di migrati, illegali come buona parte degli irlandesi, italiani e cinesi prima di loro. La legge è chiara, ed in effetti favorisce l’immigrazione per motivi politici, di lavoro, o di ricongiungimento famigliare, ma richiede il rispetto di alcuni punti di base. Purtroppo, tempi e costi di queste procedure sono importanti, e se a casa tua sei disperato, è comprensibile che pensi di correre il rischio e passare il nostro confine senza i documenti necessari, magari con dei bimbi appresso.
Adesso a Boston siamo pieni di queste famiglie, da Sud America, Africa, Medio Oriente: li ospitiamo in alberghi ed edifici messi a disposizione da una serie di agenzie non governative come la YMCA, anche da privati cittadini. Sono già parecchi i casi di cittadini che accolgono famiglie illegali in casa propria, e li aiutano come posso dando lavoretti o incombenze domestiche. A parte la barriera linguistica, non possono lavorare se non in nero, non posso farsi curare: son situazioni difficili. La tensione in città è palpabile: tutti condividono la compassione per chi scappa da situazioni disastrose, ma l’ospitalità a spese nostre non va bene a tutti, nemmeno a chi ha avuto genitori o nonni nella stessa situazione.
Ma almeno domani saremo tutti lì, in compagnia di indiani, pachistani, nigeriani, colombiani, palestinesi, dipinti di verde e vestiti dei simboli dell’Irlanda, loro che quel paese non l’hanno nemmeno mai visto e quel Santo non lo conoscono, ma sono emigrati qui per sfuggire dall’oppressione, vuoi politica, economica o di violenza del loro paese. E suoneranno le cornamuse e le trombette, vedremo le star sportive e dello spettacolo, ed almeno per un giorno saremo tutti uniti, magari brilli, ma ottimisti per il futuro.
Il melting pot americano, il crogiolo della nostra società multi-razziale, ha bisogno di parate come quella di San Patrizio: è nella festa tutti assieme che si abbassa la diffidenza e si aumenta la vicinanza, senza litigare su ideali o programmi politici diversi, ma riconoscendoci uguali.