Purtroppo, per quest’edizione cinese le cose si fanno molto complicate per il network televisivo americano: gli sponsor commerciali si tirano indietro, i compartimenti stagni per evitare il contagio da virus sono deprimenti, e soprattutto il Presidente a dicembre ha boicottato i giochi, con altre dieci nazioni al seguito. Tra i tanti fratelli che abbiamo noi americani, oltre agli ucraini e taiwanesi, ci sono pure gli uiguri, di cui non possiamo sopportare la repressione religiosa. Buona parte di noi americani non sa nemmeno siano Ucraina, Taiwan e tantomeno Xinjiang sul mappamondo, non abbiamo mai visto un uiguro, ma ci sentiamo dire dai leader di Washington che son nostri fratelli, e vabbè: vogliamoci bene.
“Sui diritti umani perché Xi Jinping non viene messo alle strette?” chiede giustamente il mio editore. Joe Biden il 6 dicembre scorso decreta che la Cina ha commesso genocidio e crimini contro gli uiguri nello Xinjiang, quindi manda la squadra olimpica mentre lui resta alla Casa Bianca, poi ci ripensa e manda 42 diplomatici USA. È così ha provato a mettere Xi alle strette. Quello che è riuscito a fare, in pratica, è stato mettere in imbarazzo aziende americane che avevano già pianificato investimenti promozionali per vendere in Cina. I suoi saggi consulenti da aria rarefatta non gli han spiegato che, per un cinese, sentirsi dire da un qualsiasi occidentale che è colpevole di genocidio e crimini contro l’umanità, naviga tra l’assurdo e l’offensivo.
In “Power Games, A Political History of the Olympics” (Giochi di potere, una storia politica delle Olimpiadi) il professor Jules Boykoff, ex-atleta olimpico USA, ci spiega come i giochi siano stati a lungo un simbolo della supremazia bianca coloniale, e si intuisce che questo ribaltamento dell’accusa sulla Cina ha le gambe corte già in casa nostra, figurati a casa di Xi.
Dispiace solo per questi ragazzi, che han dedicato la loro giovane vita ad arrivare a questo traguardo. Avete mai conosciuto un atleta olimpico? Si va dai più giovani, alla loro prima edizione, magari di una specialità povera che non li può sostenere, ai personaggi da copertina e milioni di follower su Instagram, a quelli mitici alla loro quinta Olimpiade, indomiti seppur pieni di cicatrici. Per la maggior parte di loro trovarsi in un’edizione boicottata significa buttare nel cesso anni di sacrifici, perché non avranno più modo di prepararsi per una prossima. E la cosa assurda è che in quel villaggio olimpico sono veramente felici, accomunati dalla passione per la loro specialità, da tutti i sacrifici fatti e traumi subiti nel corso degli anni, nei loro rispettivi paesi.
Lo sport dovrebbe essere una piattaforma per il dialogo tra i popoli, boicottarlo serve proprio ai dittatori. Se veramente si pensa che i diritti umani in Cina siano in sofferenza, ad un livello impensabile rispetto alla nostra libertà ed a quanto bene stiamo noi (nota sarcastica), usare lo sport per metter Xi alle strette equivale a tirare un boomerang, e ritrovarselo sulla capoccia.