Siamo in un cul de sac, politico, economico, soprattutto morale. I nodi di trent’anni di sciaguratezze politiche, economiche, culturali, stanno arrivando al pettine.
Così il bianco del foglio ha preso in gran parte il posto del nero dell’inchiostro.
Per scriverlo ho abbandonato la tecnologica tastiera, usando la mia vecchia stilografica nera Aurora 88.
L’analista che da una vita conviveva con me ha gettato la spugna. Si rifiuta di scrivere banalità gradite al sistema politico-mediatico dominante.
L’apòta, nel quale mi sono sempre identificato, preferisce tacere, e rinchiudersi nei suoi amati interstizi.
Come scrittore, lo so, ho delle responsabilità nello scrivere per il pubblico. In questo caso non so che fare. Sono solo con la mia coscienza.
Come comune cittadino, quale sono, ho deciso di premere il tasto “mute”: vedo di tutto, persino sconci videogiochi, ma almeno non sento le solite vagonate di fake truth.
Lo so, la mia è vigliaccheria intellettuale in purezza. Perché?
Perché so che il tempo delle chiacchiere sarebbe finito, io dovrei scrivere “Siamo tutti ucraini, andiamo a combattere il dittatore Putin, boots on the ground!” Ma non ho il coraggio di scriverlo.
Peggio, mi autoassolvo, come fanno le nostre leadership che si nascondono dietro l’articolo 11 della Costituzione, sapendo che i loro elettori (ormai sempre meno “cittadini”, sempre più ridotti a meschini “consumatori”) non intendono certo “morire per Kiev”: oltre settant’anni di cosiddetta pace non sono passati invano.
Inutile sperare nell’aiuto degli americani, come noi europei vigliaccamente abbiamo fatto per un secolo. Joe Biden è stato chiaro: “Dopo le sanzioni c’è solo la Terza Guerra mondiale”. Anche le mamme americane hanno detto basta mandare i figli a morire per esportare la democrazia delle multinazionali!
Le tante profezie di Niall Ferguson si sono palesate.
Così l’analisi di Simone Weil secondo cui la guerra disumanizza le persone e le distrugge, riducendole a cose.
In quest’atmosfera di disagio morale, che ha reso buie queste mie giornate, c’è stato un solo raggio di sole: Francesco che va a trovare, a casa sua, l’Ambasciatore russo.
A lui mi aggrappo, disperatamente, perché, come apòta, oggi lui è l’unico di cui mi fidi, l’unico leader morale (non si è leader se non si possiede una propria leadership morale) che abbia ancora credibilità.
Un forte abbraccio, Riccardo.