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Spremuta di Camei

BREXIT: DETTO E FATTO

IL CORONAVIRUS NELL’ANNO DEL TOPO

BREXIT: DETTO E FATTO

Detto e fatto. UK è uscito dall’Europa per la volontà dei suoi cittadini. Lo ha fatto in due mosse, un referendum nel 2016 e un voto politico a favore dei conservatori nella persona di Boris Johnson nel 2019. Qualsiasi decisione è giusta quando la votano la maggioranza dei cittadini.

Per le élite cosmopolite inglesi e quelle europee è stato uno choc, perché loro tendono sia a confondere Europa con Unione Europea, sia ispirarsi alla celebre frase-manifesto di Jean Monnet. “Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potrà essere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e una finalità meramente economica”.

Per tre anni parte delle sue élite, e i mandarini di Bruxelles, le hanno tentate tutte per ribaltare la volontà popolare, usando a piene mani il Protocollo Monnet. Nell’ombra dell’urna gli inglesi hanno detto: Basta! Hanno dato una maggioranza schiacciante a Boris Johnson, persino nelle roccaforti laburiste. La volgarità degli europeisti arrivò a definire Bo Jo un “pagliaccio”, senza accorgersi che le leadership europee di Bruxelles e di gran parte dei singoli Paesi potevano tranquillamente essere definite tali, senza alcuna forzatura.

Capisco lo stupore delle élite europee: pensano che quei tre o quattro quartieri di Londra dove loro hanno casa o che frequentano, rappresentino il Paese. Ergo, non conoscono il popolo inglese. Un caso personale. La multinazionale che dirigevo doveva fare una rapida e violenta ristrutturazione per sopravvivere: bisognava raddoppiare il fatturato, dimezzando i costi, quindi licenziare molte persone. E si doveva partire dallo stabilimento simbolo, quello di Basildon (Essex). Spiegai ai capi del sindacato di fabbrica che dovevo fare un taglio importante della forza operaia e impiegatizia. Confessai loro, con franchezza, che uno sciopero non ero tecnicamente in grado di sopportarlo, ma gli ricordai che, come primo atto, avevo chiuso i due Quartier Generali (in Italia e Usa) licenziando il 90% dei manager e dei supermanager. Uno mi disse: “Lo sappiamo cosa ha fatto, per questo le chiediamo che nel definire il numero dei licenziati, tenga conto che chi resta deve aver diritto a fare ore straordinarie”. In pratica mi invitava a licenziare più persone pur di non toccare il livello retributivo di quelli più meritevoli. L’avrei abbracciato. Era il mio mondo, niente chiacchiere, solo execution. Quattro anni dopo la Regina Elisabetta, a Buckiingham Palace, mi consegnò una targa come azienda leader in UK nell’esportazione (oltre il 90% della produzione di Basildon la vendevamo all’estero).

Questi sono gli inglesi, i fighetti cosmopoliti di Londra appartengono a un altro giardino zoologico. Chi siamo noi per non rispettare la loro scelta? Ammiro la loro fierezza, quella che noi europei, quelli dei 70 anni in pace, non abbiamo più: ormai siamo eunuchi colti e competenti. Prendiamo la Regina Elisabetta. Ve la vedete a comportarsi come i Reali dei Paesi del Nord che vanno in bicicletta o a comprare al supermercato? Oppure come Juan Carlos di Spagna che urla al fastidioso Hugo Chavez “Por qué no te callas?”.

Il problema è che l’Europa 2020 ha seppellito la sua storia, non ha identità, non ha sogni, non ha fiato. E’ languida. Ha deciso di non fare politica, ma solo business. Che tristezza aver perso gli inglesi.


IL CORONAVIRUS NELL’ANNO DEL TOPO

L’Anno del Topo è iniziato male. I cinesi associano il Topo all’aggressione, alla guerra, all’occulto, e pure (udite! udite!), alla peste. L’ultimo anno del Topo fu il 2008, quello della Grande Crisi. Dopo 12 anni siamo sempre lì, fra il lusco e il brusco. Mi chiedo: questa volta sarà il pettine ad arrivare ai nodi?

Ci mancava solo il terzo “coronavirus”, sempre asiatico, di questi ultimi trent’anni. Ogni volta lo stesso errore dei gerarchi cinesi: nascondere la verità. Questa volta hanno taciuto per almeno un mese. C’è un’intervista di Ilaria Capua, tre minuti tre, e si capisce tutto. Siano gli scienziati a gestire le pandemie, sia vere che presunte, e i politici implementino le loro decisioni.

A Natale un episodio micro. Un amico, ormai quasi cinese, mi racconta che a Wuhan all’inizio di dicembre si aveva la sensazione di qualcosa di strano. Sensazione, appunto, ma il pensiero (suo) non poteva che correre al 2002, alla SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome). L’amico mi diceva: non temo il contagio, ma la burocrazia del PCC. Le epidemie in Cina, stante il modello in essere, fanno più paura, perché queste sono classificate segreto di stato. Aveva ragione.

Noi della Cina di Xi Jinping non sappiamo nulla, peggio, non vogliamo sapere nulla. Pensiamo che la Cina sia quella che ci fanno vedere. Ma quella è una nazione di 200-300 milioni di persone, tutti delle classi alte, super grattaceli, super treni, super calciatori (finiti), tutto super. Del miliardo di poveracci nulla sappiamo e nulla vogliamo sapere. Poi, siamo condizionati dal terrore di perdere un fatturato diventato via via “strategico”. Osservate Angela Merkel come si è auto soggiogata a Xi Jinping, per difendere il suo fatturato-virus.

Eppure, basterebbe analizzare i suoi “fondamentali” per capire cos’è la Cina: un normale Paese canaglia, dominato da una feroce dittatura burocratico-digitale. Anche quando le dittature erano analogiche queste si basavano su un assunto: i sudditi devono tacere, sempre e comunque, e il potere mentire, sempre e comunque. Probabilmente anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha subito il fascino perverso di Xi Jinping, definendo il rischio “moderato” per 5 volte (a maggioranza), e solo alla 6° “elevato”, con poi le classiche scuse riparatrici.

Dove la stampa non è libera, i media scrivono ciò che il Comitato Centrale del PCC permette loro di pubblicare. L’amico di Wuhan aveva avuto buon naso, ma ha dovuto attendere il 25 gennaio per la conferma da parte di Xi Jinping, l’unico autorizzato a pensare e a parlare. E allora decisioni drastiche, quarantene fantozziane, per ricuperare credibilità internazionale. Ho colto una chicca, immagino sfuggita alla censura: le code al pronto soccorso sono tali che medici e infermieri sono stati dotati di un “catetere di stato” per non perdere tempo (neppure il fordismo alla Charlot era arrivato a tanto).

La tecnica comunicazionale dei burocrati del PCC segue quella classica: la menzogna. Tutti ci siamo eccitati perché faranno un ospedale in 10 giorni. Quanti di noi si sono domandati: perché? Eppure puzza di marketing politico lontano un miglio. Se ci fosse un sistema sanitario congruo, visto che stiamo parlando di un’area industrializzata con 60 milioni di abitanti (come l’Italia), trovare un migliaio di posti letto sarebbe gioco da ragazzi. Se invece non l’avessero, allora sì che gli ospedali bisognerebbe farli, ma saremmo in pieno Terzo Mondo.

Nelle pandemie vere o presunte, gestite da burocrati, il maggior numero di vittime non le fa il virus ma il mix segretezza-isteria che trasforma un problema, a volte banale, in una catastrofe, prima comunicazionale, poi, forse, sanitaria di massa. E alla fine il Regime che farà per mondarsi? Lo ha detto ieri il solito Xi Jinping: punirà i colpevoli, qualche mini gerarca periferico.

Mi sono permesso una battuta-tweet: E se il “corona” fosse uno “spread”, mascherato da virus?. Se Xi Jinping fosse stato in difficoltà, per una caduta strutturale del PIL, la presunta pandemia potrebbe essere una giustificazione da cavalcare. Vero? Falso? Nella Città Proibita nessuno vi ha accesso. E allora, molto più prosaicamente, chiudo dichiarando che mi fido della Federal Reserve. Dopo l’accordo Xi Jinping-Donald Trump, favorevole all’America, FR ha preso una decisione coraggiosa: non tocca i tassi e mantiene un moderato ottimismo, scontando il corona-virus. Grazie America.

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Zafferano

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