LA Caverna


La mentalità dello schiavo

“Non c’è nulla di più sconfortante di uno schiavo soddisfatto”. (Ricardo Flores Magon). Gli ebrei usciti dall’Egitto, liberi per un fatto tecnico ma psicologicamente schiavi, rimpiangevano i tempi della schiavitù, cercando conforto in un’idealizzazione del passato: «Fossimo pur morti nel paese d’Egitto, quando sedevamo intorno a pentole piene di carne e mangiavamo pane a sazietà!» (Es. 16,3; Num 21,5). 

Mose pensava di aver portato fuori dalla schiavitù un popolo, pensava fossero liberi, non sapeva di guidare un gregge con la mentalità dello schiavo. La soluzione nei momenti di scoraggiamento è arrendersi, abbandonandosi alla schiavitù.

Oggi, pubblicità e moda ci costringono ad essere sottomessi. Seguire modelli è quasi un obbligo, se ci allontaniamo dagli schemi diventiamo alieni. Una metafora per il nostro tempo è quella dello “schiavo perfetto”: una persona che crede di essere protagonista, personaggio di spicco, eroe realizzato, mentre in realtà è solo un esecutore di volontà superiori. L’uomo, da sempre, è in grado di obbligare altri uomini a vivere come meri strumenti di proprietà pubblica e privata. L’odierna schiavitù, come dipendenza da pensieri, situazioni e desideri, è sottile e diffusa. Gli schiavi moderni abitano quello spazio oscuro in cui non è permesso riconoscersi e apprezzarsi reciprocamente, il luogo dell’asservimento a dipendenze di vario genere.

Non è un vivere bene. Chi non sa sfidare gli eventi con decisione e fermezza è schiavo dei moderni aggressori. Schiavi sono coloro che, spossessati della propria umana dignità, vengono ridotti a cose. Il mondo in cui viviamo genera “schiavitù” e vero problema è che pochi si assumono il compito di essere uomini liberi. Non ci sono catene che ci tengono schiavi, ma schemi comportamentali e di pensiero. Vivere in una polis, a differenza di quanto accade negli stati tirannici, è abitare un luogo in cui negli impegni, nei sacrifici, nell’onesta condotta e nelle competenze, vale la reciprocità di chi governa ed è governato. Perseguire la libertà presuppone ingredienti diversi: solidità interiore, capacità di autonomia e autodeterminazione, fermezza per affrontare il dolore e la solitudine, oltre che capacità di amare e stare con gli altri, reale senso etico e sobrietà.

Poiché ciò che conta da un punto di vista politico è la capacità di comunicare, di deliberare e decidere, di programmare e organizzare, l’inferiorità fattuale, l’apatia e il respiro corto delle masse suscitano negli scaltri e nei potenti la tentazione di una giustificazione teorica: se i compiti sono inferiori, le persone che li svolgono devono essere inferiori. Per paura, convenienza e interesse, o forse perché, nella propria vita, la sottomissione si è trasformata in abitudine, si abdica alla propria innata sovranità. Si vive, si pensa, si agisce, si sogna da servi e ci si accontenta di quanto la dipendenza può offrire. Persa la nostra identità, abbiamo perso tutto.

Ci illudiamo di aver valore perché imitiamo idoli mercificati, perché compriamo “immagine” con corruzioni di vario tipo, e invece, in questo naufragio morale, vendiamo noi stessi. Bisognosi di approvazione sociale ci conformiamo mentalmente e nei comportamenti e da schiavi mediocri e irrimediabili ci adattiamo alla moralità corrente del sistema. I grandi temi dell'innovazione e della sostenibilità, della riforma del welfare e del mercato del lavoro, della lotta alle diseguaglianze sociali, non producono effetti sconcertanti e non trovano concretezza. Non si colgono sogni e visioni. L’apatia, un drammatico segnale d’allarme, sembra non turbare nessuno: i ribelli sono superficiali, la maggior parte è all’oscuro o preferisce riempire gli stadi e frequentare i bar. Per gli antichi greci la gestione della cosa pubblica era così importante che indicavano come “idioti” coloro che si limitavano ad occuparsi delle loro faccende private e non sentivano la passione per l’interesse generale della polis.

Nel mondo romano, si riconosceva nel servizio alla collettività la via maestra per la propria realizzazione personale oltre che della propria affermazione sociale. Sembra che oggi, con questo individualismo serpeggiante, l’“idiota” dei greci sia diventato il modello da seguire. Chi si occupa del proprio “particolare” viene ammirato; chi si interessa dei problemi della collettività,…meno. Molti pensano che l’occidente se la caverà perché il sistema non è mai crollato. Durerà più a lungo, ma finirà. Il significato più alto e più attuale della festa della Liberazione è dunque la chiamata alla partecipazione.

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro