In linea generale questa tecnologia consente di fare particolarmente bene un’azione specifica: traduzioni, ricerche su internet, o prevedere il tempo. Se invece pensiamo ad attività complesse come il gioco degli scacchi, ci sono dei limiti. Il computer più potente al mondo impiegherebbe un anno e mezzo per calcolare tutte le possibili mosse su una scacchiera, impossibile partecipare a qualsiasi torneo. Quello che fa il computer scacchista è un calcolo probabilistico su alcune mosse successive, legato all’avere a disposizione la storia di tutte le partite di scacchi giocate. Ad esser precisi non è l’intelligenza artificiale che batte il campione del mondo, ma una tranquilla ingegneria del software che deve “semplicemente” guardare una mossa più in là rispetto ai migliori giocatori. Esistono quindi problemi matematici impossibili, o troppo dispendiosi, anche per i robot intelligenti. In questo caso occorre approssimare, prevedere e specialmente scomporre il problema complesso in altri più semplici.
Un altro campo di forte limitazione all’intelligenza artificiale è l’interazione con noi essere umani. Mentre applicazioni specifiche possono facilitare il nostro lavoro o mitigare alcune patologie, pensiamo agli impianti che migliorano vista e coordinamento degli arti, il ranocchio elettronico non ha quella che gli psicologi chiamano “teoria della mente”. Banalmente, per relazionarsi con qualcuno occorre interpretare le sue intenzioni, mettersi nei suoi panni, e così capire come meglio reagire ai suoi stimoli. Quando osserviamo il nostro interlocutore, normalmente sappiamo dove va’ a parare perché intuiamo osservando il suo linguaggio verbale e gestuale, tono della voce, ed altre emozioni espresse. Per capire il prossimo dobbiamo in prima battuta capire noi stessi, i nostri valori, credenze, modi di pensare: tutte cose che impariamo dalla più tenera età con le nostre esperienze individuali. Potremmo sviluppare un robot bambino, metterlo in una famiglia, ed aspettare che formi una sua coscienza? Forse in una famiglia di programmatori software, tenendo conto che in vent’anni di crescita del pupo elettronico consumeremmo una quantità notevole di energia. Se pochi secondi di ragionamento artificiale oggi costano un dollaro, crescere questo robot costerebbe circa $70 milioni e sarebbe l’equivalente di un ns ragazzo Gen Z. Ancora una volta un limite pratico, per quel che se ne guadagna. Se pensate di adottare e crescere un robot, vi raccomando il libro di Mark Lee “How to grow a robot”, dove entra nei dettagli di come farlo.
Infine, al robot serve un corpo umanoide, con espressioni facciali, sonore, fisiche, il più possibile simili alle nostre. Questo in effetti è un nostro problema, di essere umani, perché lo sviluppo infantile plasma i nostri 85 miliardi di neuroni allo scopo di vivere in società, e non potremmo relazionarci completamente con qualcosa di non umanoide. Il limite in questo caso è fisico: come costruire un robot umanoide che riesca a svolgere diverse azioni senza pesare una tonnellata e consumare una centrale nucleare di energia. Musk ha promesso una versione economica di robot umanoide, Optimus, disponibile a tutti per $20.000 tra tre anni. In questo istante il prototipo riesce a camminare lentamente, alzare un cartone e metterlo su un tavolo, ed innaffiare vasi di fiori, finita li. Probabilmente arriveremo a robot specializzati nella ripetizione di poche attività, novelli schiavi 4.0 che potremo comprare al prezzo di un’utilitaria per evitare incombenze noiose o pericolose. Vediamo.