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Emigrati e guerre

Emigrato due volte in vita mia, sono sempre molto attento alle storie di chi lascia il Paese di nascita per una nuova opportunitä, e qui in America ne ho conosciuti tanti. Vicino a casa c’è una vecchia lavanderia mal messa, dove marito e moglie cinesi lavorano dodici ore al giorno, sette giorni la settimana. 

Portare le camicie da stirare è diventato un piacere perché hai a che fare con due persone sempre sorridenti, sbrigative, concentrate solo sul fare al meglio il proprio lavoro, e non parlano d’altro. Anche quando ho portato il vestito di matrimonio vecchio di 30 anni perché mi allargasse i pantaloni, il marito senza tanti complimenti ha preso le misure e sentenziato: o te li allargo di due centimetri, o mangi meno, decidi. Son scoppiato a ridere.

L’altro giorno mi son fermato sul marciapiede, per vedere se anche altri clienti uscissero felici e sorridenti come ogni volta che entro io. Tra chi arrivava a piedi di fretta, chi parcheggiava al volo, saranno arrivate una decina di persone che ho visto uscire col sorriso stampato. Con un volo pindarico possibile solo al fine settimana, ho ripensato a Tolstoj ed il suo “Guerra e Pace”. Questa coppia cinese di mezza età non si fa problemi, non ha la testa nell’aria rarefatta: è evidente che si vogliono bene, si intuisce che ne hanno passate di tutti i colori, e sono totalmente concentrati sulla loro lavanderia, sul fare il loro mestiere nel miglior modo possibile.

Ogni interazione con loro è all’insegna dell’ottimismo, ti sorridono sempre, danno veramente l’impressione di esser felici con il loro lavoro, e guardano ogni camicia con orgoglio quando te la consegnano, immacolata nel velo protettivo. Torni a casa contento, poi su tv e social media vedi la distruzione dall’altra parte del mondo, dagli ucraini martoriati ai palestinesi spazzati via dal loro paese. Ed in quel momento la mente ripesca il vecchio autore russo dalla memoria, il suo essere pacifista ed anarchico. Lui raccomandava di rifiutare il servizio militare, di opporsi alla guerra con ogni forza, finanche a non votare e non rivolgersi ai tribunali. La guerra è male e spreco assoluto, voluta da pochi potenti a danno dei troppi che finiscono male.

Anche oggi, se solo usassimo i fondi sprecati per togliere i ragazzi dal fronte, insieme alle loro famiglie, e dargli un lavoro ed un’opportunità altrove, risparmieremmo tantissimo, in finanza, vite e distruzione. Qui in America continuano le proteste pro-Palestina, con massiccia partecipazione di ebrei che vogliono la fine dell’invasione di Gaza. All’inizio non avevo notato il legame, ma ora è evidente: chi è emigrato, vuoi per opportunità migliori o per scappare da violenza e povertà, è quasi sempre un pacifista. E lo dev’essere quasi per forza, perché deve essersela cavata in un posto nuovo, imparando una lingua straniera, facendo un mestiere forse diverso dal precedente, senza tanti pensieri per politici ed aria rarefatta.

Questa coppia cinese è il perfetto esempio di una vita vissuta bene, concentrati a fare qualcosa di ben fatto, sorridenti e sempre ottimisti. Sono gli emigrati che han fatto e fanno grande questo Paese.


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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro