IL Digitale


Produttività digitale, un mistero?

Nutro profonda ammirazione per gli economisti, che devono districarsi tra molte variabili per modellare il funzionamento e capire dove va la nostra economia, e spesso producono risultati curiosi. Tra questi, il fatto che le tecnologie digitali non aumentano la produttività, resta uno dei misteri più avvincenti.

Raccomando la lettura degli articoli di Erik Brynjolfsson qui e quello di Enrico Colombatto qua per esaminare i diversi fattori in gioco, che vanno dalla formazione dei lavoratori, all’effettiva innovazione (quella vera è diversa da quella dei PowerPoint), al ruolo dello Stato nel dare incentivi e mettere cappi al collo, alla reale possibilità che il modo in cui misuriamo la produttività non sia più al passo coi tempi.

Da anni circola il dogma che la trasformazione digitale, specie con le sue componenti di cloud ed intelligenza artificiale, consenta forti miglioramenti di produttività e quindi del benessere della popolazione. L’evidenza empirica sul benessere della popolazione ci dice che 600 milioni di Cinesi son passati dalla povertà alla quasi ricchezza, ma che in Europa ed USA le cose non migliorino da due generazioni a questa parte, e la gente si scoccia. Il valore di merci e servizi prodotto per ogni ora di lavoro, la definizione generalmente accettata di produttività, è addirittura diminuita all’inizio di quest’anno. Dal 2010 ad oggi la produttività è cresciuta del 1% all’anno, mentre il digitale è esploso. Al contrario, dal 1948 al 1972 crebbe del 3.8% annuo, quando America ed Europa si risollevarono dalla guerra investendo in macchinari e lavoratori. Che il digitale, che tanto sfugge ai nostri cinque sensi, sia molto più debole di un affidabile tornio, un solido trasformatore, una bella gru da cantiere Umarell?

Personalmente ho esperienza di casi dove il miglioramento apportato dal digitale è forte, ma non tanto in termini di produttività a livello macroeconomico. Pensiamo ai sistemi di documentazione tecnica e realtà aumentata che oggi consentono a tecnici installatori e manutentori di operare correttamente dopo un solo mese di formazione, invece dei tre anni di praticantato richiesti prima. Oppure al sistema che in tempo reale ascolta la conversazione tra cliente ed addetto al supporto tecnico e raccomanda cosa chiedere e cosa dire, incrementando notevolmente la produttività e soddisfazione media dei clienti. In entrambe i casi il digitale ha reso dei mestieri molto più facili di prima, fattibili da chiunque con una formazione minima. Un economista vorrebbe farci credere che quei lavoratori più anziani ed esperti, che ora perdono il loro vantaggio competitivo rispetto ai ragazzi assistiti dal computer, si possano concentrare su lavori ancora più complessi, possano tornare sui libri per migliorarsi, e continuare a prendere stipendi maggiori.

Proprio qui nasce l’ammirazione per gli economisti, perché non riesco a vedere come possa funzionare, non ci arrivo. Prendiamo i 123.000 professionisti che in America hanno la certificazione per installare e manutenere i condizionatori, diciamo che prendano $100 all’ora. Tra un mese possono essere sostituiti da ragazzi che non avendo speso tre anni di praticantato e di corsi specializzati, ne chiedono $50. Ma voi le vedete 123.000 persone che a 40-50-60 anni tornano sui banchi di scuola, imparano una nuova specializzazione e si rimettono sul mercato prendendo sempre $100? Forse il 10%, a star larghi, ma nove su dieci abbassano le tariffe a $50, con buona pace anche dei giovani che non arriveranno più a $100 come prima, mai più.

E non ditelo a nessuno, ma in riva al Charles e lontano dalle aule universitarie, anche ad Erik il dubbio è venuto.


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro