IL Digitale


Start-up e guerra

La forte tensione internazionale ha picchiato duramente sul settore digitale, con il NASDAQ che ha perso un quarto del valore negli ultimi mesi ed una forte riduzione di investimenti in start-up digitali. Particolarmente spaventata l’Europa, che vede solo Londra col cielo sereno, mentre per i giovani ricercatori ed imprenditori queste sono settimane delicate. 

Se normalmente la mortalità di una start-up è alta se composta solo da giovani sotto i quarant’anni, se è molto rischiosa nei cosmetici o nel cibo, dove l’85% non arriva al primo anno di vita, con le attuali paure dei mercati azionari e cripto diventa veramente difficile assicurarsi finanziamenti per la crescita.

Queste considerazioni non devono assolutamente fermare chi voglia sviluppare un nuovo prodotto o servizio, perché le stesse rendono l’impiego “del posto fisso” quel Bullshit Job di cui tanto bene ha scritto il compianto David Graeber. Al contrario, devono aiutare i nuovi imprenditori a concentrarsi sulle tre cose che contano, partendo dal problema che si va a risolvere, dall’esperienza che farà il cliente di quanto si va a sviluppare, e dal convincere i finanziatori a scommettere.

Passo weekend a rivedere le presentazioni delle start-up: quasi tutte partono dal dire chi sono, quanto sono bravi, della tecnologia fantastica che hanno sviluppato e che salverà il mondo da crisi globali, carestie e pestilenze. Poche dicono quale sia l’esatto perimetro del problema che vanno a risolvere, chi siano i concorrenti e cos’abbiano di più o di meno rispetto a loro. Qualche volta citano una multinazionale che da anni conquista il mondo con un prodotto concorrente, e spiegano che la loro soluzione è decisamente migliore. Se c’è un imprenditore digitale per antonomasia, Elon Musk, possiamo far tesoro sulle sue riflessioni sul fare automobili: non lo raccomanderebbe al peggiore dei suoi nemici. La fatica, i rischi ed i fondi spesi per imparare a produrre automobili sono stati immensi, e più volte Tesla ha rischiato di fallire o esser comprata per briciole, perché il Diavolo è nei dettagli, non sui PowerPoint. Mentre il software delle sue auto è anni davanti alla concorrenza, la sua capacità di produrre efficientemente macchine affidabili deve ancora raggiungere le altre marche.

Se un anno fa c’erano più soldi che aziende, gli interessi erano minimi, e gli investitori erano disperati per scommettere su una qualsiasi start-up che desse speranza di successo, ora la situazione s’è capovolta. Adesso per convincere un Angel Investor, un Venture Capital, o il cugino d’America ad investire su una soluzione intelligente ad un problema reale, occorre fare uno sforzo in più nello studiare il mercato, il grado di maturità del prodotto, l’esperienza del cliente ed il piano di investimenti, il tutto con una forte spruzzata di pessimismo.

La guerra ha dimostrato che le tecnologie digitali danno risultati sorprendenti, che il software può ribaltare esiti che parevano scontati. Solo a gennaio, chi avrebbe mai pensato che cellulari e droni giocattolo sarebbero stati modificati per bloccare l’armata russa? Che in cinque ore fosse possibile ricostruire le reti di comunicazioni portandole sul satellite? Le potenzialità ci sono tutte, serve attenzione al dettaglio ed attitudine al rischio.

La tolleranza al rischio si sviluppa fin da bambini in molti modi, dallo sport al vendere biscotti porta a porta: riuscire a mettersi in gioco sapendo che può andar bene o male è quello che serve per qualsia impresa o sviluppo di nuova tecnologia. Chi non risica, non rosica.


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In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro