Notizie dagli USA


Ospitalità o Integrazione nella cultura americana

Francesca da Twitter commenta la differenza tra Freedom e Liberty, due accezioni di libertà che non troviamo in italiano, e giustamente mi ricorda che non abbiamo nemmeno Schaudenfreude nel nostro vocabolario, una parola tedesca che indica il piacere nel vedere la malasorte del prossimo. È una parola che mi ha sempre divertito, perché...

...il suo uso cresce in modo esponenziale, come il virus, dal 1992, quando a Maastricht si firma il trattato e ci trasformiamo in cittadini europei. Forse che ad essere europei si gioisca delle sfortune del vicino? Va’ a saperlo.

Chi ricorda i lavori di Maryanne Wolf e George Lakoff che ho citato in passato, sa che linguaggio e musica sono il nostro pensiero, e letteralmente plasmano i circuiti della nostra corteccia pre-frontale, costruendo memorie e dando modo di interpretare e modulare le nostre emozioni e le nostre decisioni. Riflettere sulle parole è molto più importante che dirle a vanvera. Se poi stai insegnando ad un computer ad essere minimamente intelligente, il riconoscimento del linguaggio naturale è fondamentale. Costruire un ranocchio elettronico che legge, interpreta e fa sintesi di quanto compreso è un successo nel progresso tecnologico.

Veniamo ad un'altra accoppiata di parole molto diverse tra cultura americane ed europea: Ospitalità ed Integrazione degli immigrati. Fino all’attentato dell’11 settembre l’America ha visto nell’integrazione dei nuovi arrivati il punto di forza del sistema paese, ma ogni epoca storica ci son stati problemi. Iniziamo con Benjamin Franklin, che se la prendeva con il numero eccessivo di tedeschi, poi i drammi per i troppi irlandesi, gli italiani, i polacchi fino ai giorni nostri quando Trump se l’è presa con chi arrivava dal Sudamerica, separando i bimbi dai genitori. Le torri gemelle sono uno spartiacque nella tensione tra aprire le porte allo straniero e renderne impossibile immigrazione ed integrazione: il 6 settembre 2001 il Presidente del Messico Vincente Fox stava per convincere Bush e Congresso a legalizzare almeno parte degli undici milioni di immigrati illegali, tra cui 800.000 nati in America.

La settimana dopo un gruppo di immigrati lancia gli aerei contro le torri gemelle, e spengono le speranze anche per questi bambini che conosciamo come DACA, che non sono né americani né cittadini del paese d’origine. La miglior riflessione su questo cambiamento è nel libro di Giovanna Borradori “Filosofia del terrore, dialoghi con Jürgen Habermas e Jacques Derrida”, assolutamente raccomandato. In questo libretto i due pesi massimi della filosofia europea riflettono sui termini di tolleranza, ospitalità e di come ci poniamo di fronte all’immigrato. Ci spiegano come in America ti aprivano le porte per diventare americano, in Europa per continuare ad essere PaeseX-ano.

L’ho vissuto sulla mia pelle, immigrato in UK negli anni ’90, e molto stupito che diverse etnie si concentrassero in pochi quartieri e continuassero a vivere come nel paese d’origine, spinte in questo dal sistema sociale attorno a loro. Per qualche anno a Londra si sperimentò pure con la Sharia per regolare casi di diritto di famiglia e commerciale tra membri della comunità islamica, quasi a volerla isolare, forse proteggere, dalle leggi dello Stato. Gli amici inglesi mi segnalavano periodicamente eventi per immigrati italiani, pensando che come Lassie mi mancasse tanto casa: teneri. Quando provavo a spiegargli che stavo anche bene così, che mi trasformavo lentamente in uno di loro, mi guardavano straniti: impossibile. Non mi ha stupito quando l’ospitalità, che si accorda tanto facilmente in tempi di crescita quanto rapidamente viene ritirata quando si fan bui, venne meno, e Brexit fu.

In America invece, iniziando dai vicini e passando a colleghi e nuovi amici, il messaggio è quello di un’ospitalità tesa alla tua integrazione, in ultima analisi alla trasformazione in americano. Ed ulteriore sorpresa: quando ricevi la carta verde (lo status di immigrato residente) o meglio ancora la cittadinanza, vicini, amici e colleghi piangono commossi, forse ricordando i loro avi arrivati a nuoto con la valigia di cartone. Cos’è meglio: accogliere degli ospiti, che rimangono stranieri in patria in una situazione di vario imbarazzo a seconda di quanto bene vada l’economia, o procedere spediti verso l’integrazione di una nuova generazione di cittadini? Tollerarli, come dice Jürgen Habermas, non funziona.

Anche qui, come la settimana scorsa, faites vos jeux.


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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro