Possiamo aggiungere l’iconica “Moon river”da “Colazione da Tiffany”, il film che gli valse due premi Oscar: miglior canzone e miglior colonna sonora.
Il musicista ha vinto altri due Oscar (per i film “I giorni del vino e delle rose” e “Victor Victoria”), venti Grammy, due Emmy e altri premi.
In questo mese di aprile ricorrono i cento anni dalla nascita di Mancini, americano di origini italiane che su input del padre iniziò presto lo studio della musica; frequentò la prestigiosa Juilliard School di New York prima di essere arruolato nell’Esercito USA fino al 1945.
A guerra terminata stravolse i suoi progetti, si unì alla Glenn Miller Band e sfoderò le sue doti nell’arte dell’arrangiamento. Iniziò poi l’esperienza nel mondo del cinema, assunto nel music department della Universal; il crescendo della sua carriera fu fulmineo e inarrestabile, fatto di premi e una quantità di brani di successo.
Mr. Music è l’appellativo di Mancini tra chi ne riconosce la maestria, l’approccio alla musica da sperimentatore, l’abilità nell’orchestrazione, il suo tocco che senza paura mescola ritmi vari, jazz e pop con un estro che non tralascia però mai l’accuratezza dello scrivere.
Si è appena celebrato il centenario del compositore (16 aprile 1924) negli States e a buon diritto in Italia, da dove emigrarono i genitori di Henry il cui nome all’anagrafe è Enrico Nicola Mancini.
Si deve al Conservatorio dell’Aquila il progetto “Henry Mancini un abruzzese ad Hollywood”: concerti e incontri - alla presenza dei tre figli del musicista - per risentire la musica e ricordare la storia familiare del Maestro, dato che il padre Quintiliano nacque a Scanno nel 1893.
Un programma che ha coinvolto gli studenti del Conservatorio e la figlia del compositore, la cantante Monica Mancini.
Chiudo ricordando alcuni notissimi motivi composti da Mr. Music: “Lujon” (ricercatissimo su TikTok), il tema del detective Peter Gunn con cui vinse il suo primo Grammy, divenuto celebre anche come main theme dei Blues Brothers (in questo video). Infine guardate qui il Maestro che dirige la sua Pantera.
La musica lo assorbiva e lo divertiva; nonostante fosse richiestissimo a Hollywood, come scrisse il New York Times Mancini diceva sempre di non fidarsi “di quella cosa chiamata successo”.